Visita guidata, seconda parte

Avvertimenti:rovinerò entrambe le serie con un colpo solo!
Personaggi:Team Criminal Minds/ Team White Collar

Questa fanfiction prevede un uso indiscriminato dei personaggi di due telefilm.
White collar e Criminal Minds, i cui produttori e sceneggiatori -Eastin, Bernero e compagnia briscola – spero non mi facciano causa ma parola non ci sta lucro alcuno, solo divertimento.
Mio di sicuro, dei lettori non so. :rolleyes:

Note:Per i pomodori e le uova, secondo scaffale sulla sinistra.

Mentre Neal e Diana erano a Quantico, altri a New York stavano ponendosi una serie di domande su uno strano messaggio arrivato al cellulare di Peter.
I rapitori dell’uomo lo avevano gettato immediatamente, per non farlo rintracciare, ed era nelle mani di Jones, un altro agente che faceva parte della squadra di Peter.
Il cellulare era in consegna all’efbiai in caso fosse arrivato qualche messaggio utile, ma sembrava un codice.
“Ho trovato qualcosa.”
Il numero era quello di Sara Ellis, Jones aveva tentato di chiamarla, ma riceveva sempre il segnale ripetitivo di non raggiungibile.
Gli venne in mente di domandare alla moglie di Burke, nel caso sapesse qualcosa.
E andò all’appartamento di Neal.
Sperando di trovare Mozzie, che su incarico dell’amico aveva messo la donna in un posto sicuro, altro che protezione testimoni, i nascondigli di Mozzie erano… introvabili nel vero senso della parola.
Neal non aveva un abitazione propria, era ospite di June.
Lo aveva preso in casa dopo aver conosciuto il giovane in un negozio dove era andata a vendere gli abiti del defunto marito, truffatore come Neal, le era stato simpatico e gli aveva voluto dare una mano.
Era sempre rimasto stupito, ed anche un po’ infastidito, di come la gente si facesse conquistare dai bei modi di Neal.
Ma così era. Inutile rimuginarci, o il rischio era di finire con il chiedersi a che pro essere onesti se a non esserlo rende così bene. Oh sì era stato in carcere Neal e tuttora era in libertà vigilata, ma spesso si domandava cosa sarebbe successo passati gli anni che doveva ancora scontare.
Avrebbe semplicemente ricominciato a delinquere come prima, sapendo anche delle cose che magari prima ignorava visto che li aiutava nelle indagini, o avrebbe realmente cambiato vita?
Peter si fidava, anche se non sempre. Ma nemmeno lui poteva sapere che direzione avrebbe preso una volta tolta la cavigliera e libero.
Nessuno lo sapeva. Tranne forse Mozzie.
Mozzie, il piccoletto come lo chiamava Peter, l’uomo senza nome, irrintracciabile, tranne da Neal stesso.
Jones non sapeva quando e come i due si fossero conosciuti, Neal ne conosceva il vero nome, ma non lo aveva mai detto a nessuno, quando Mozzie era stato ricoverato in ospedale per non farlo scoprire aveva dato come nome l’anagramma delle parole Uomo Invisibile.
Gli anagrammi e i codici.
Una costante con quei due.
June salutò Jones, e gli fece cenno di accomodarsi in salotto.
Mozzie era lì, seduto su una delle sedie come se lo aspettasse.
“Speravo di trovarti!”
“Neal mi ha detto di rimanere da Elizabeth, ma anche di passare ogni tanto da June.”
“Devo sapere dove sta Elizabeth.”
“Non se ne parla, meno gente lo sa meno rischi corre. Per quello i miei rifugi non li trova nessuno se io non voglio.”
“Mozzie, è importante. Sul telefono di Peter è arrivato un messaggio e magari lei sa cosa significa.”
“Dimmi il messaggio, glielo riferirò.”
“Non abbiamo tempo da perdere! Devo farti chiamare da Neal?”
June si intromise tra i due capendo che Jones stava per perdere la pazienza.
“Mozzie, credo abbia ragione, devi portarlo subito dalla moglie di Peter, sicuramente lo terrà per se.”
Mozzie spostò lo sguardo rapidamente fra i due, si sentiva in trappola.
Neal avrebbe saputo come uscirne elegantemente senza farsi mettere all’angolo in quel modo.
Ma lui non era Neal.
Il basso profilo che Mozzie aveva tenuto per tutta la vita gli aveva permesso di non finire mai così vicino alla legge, fino a che l’amico non era uscito di galera con quel patto.
Da allora aveva avuto a che fare anche troppe volte con i federali, e la cosa gli piaceva poco.
Ma sapeva che Neal gli avrebbe detto di non intralciare le indagini.
O almeno lo sperava, visto che stava per fidarsi di Jones.
E consegnare uno dei suoi rifugi nelle sue mani.
“Va bene, ti ci porto. Ma non una parola!”
“D’accordo. Grazie.”
Jones aveva rivolto il ringraziamento anche a June, si rendeva conto che senza la sua diplomazia nel prendere per il verso giusto Mozzie forse le cose non sarebbero andate lisce.
In auto seguiva le indicazioni dell’uomo verso una zona a lui poco nota di New York.
“Spero non mi farai perdere tempo in giri a vuoto perché io non sappia tornarci.”
“Stiamo andando per la strada più veloce.Hai detto che hai fretta, Peter è in pericolo ed Elizabeth non mi perdonerebbe mai se facessi capitare qualcosa di brutto al marito per degli stupidi giochetti!”
Jones lo sbirciò stupito, Mozzie era un logorroico all’ennesima potenza, amava i giochi di parole e raramente era tanto diretto. Doveva essere proprio preoccupato.
Arrivarono in un palazzo, presero un montacarichi, e giunsero in quello che aveva l’aria di un loft ristrutturato, sembrava un piccolo tempietto buddista.
“Non sapevo fossi buddista.”
“Non lo sono, non mi riconosco in nessuna etichettatura.”
Elizabeth li aveva sentiti salire e si era nascosta, ma quando riconobbe le voci uscì dal nascondiglio.
“Avete trovato Peter? Come sta?”
L’ansia sul volto della donna fece sentire Jones in colpa, doveva immaginarlo che vedendolo arrivare con Mozzie avrebbe pensato che era tutto finito, forse avrebbe dovuto far salire prima Mozzie da solo per prepararla, ma ora era troppo tardi.
“No, mi dispiace. È arrivato un messaggio di cui non capiamo il senso. Speravamo potessi aiutarci.”
La delusione prese il posto dell’ansia.
Lo donna fece un sospiro e con un’aria anche troppo calma, domandò di che messaggio si trattava.
Lui riferì le parole di Sara.
Sperando che il suo capo non intrattenesse una relazione extra-coniugale.
In quel caso, quando lo avessero trovato, poteva succedere il finimondo.
“Sì, so a cosa si riferisce. Sara è andata in Argentina per conto di Peter a vedere se riusciva a scoprire qualcosa su quelle stoviglie che avete sequestrato tempo fa.”
“Perché non ce lo ha detto?”
“Era una cosa che Sara faceva come favore, e poteva essere pericoloso, meno gente lo sapeva meglio era. Ma avete ricevuto solo il messaggio non le avete parlato?”
“No, il telefono risulta spento. Irraggiungibile.”
La donna si portò le mani al volto, sconvolta.
“Avranno rapito anche lei?”
“Non è detto, magari sta rientrando ed in aereo non si possono tenere i cellulari accesi, se era in Argentina può essere che non sappia nemmeno che Peter è stato rapito. Ascolta io devo tornare in ufficio, Diane e Neal sono andati a Quantico per un aiuto a stilare un profilo…”
La donna lo interruppe.
“Fino a Washington? Ma i profili li sapete fare anche voi, avete l’addestramento…”
“Diane pensa che serva un aiuto più specifico e io sono d’accordo, ma torneranno presto e… avremo una traccia, spero. Lo troveremo.”
La donna stiracchiò lievemente le labbra nel tentativo di un sorriso.
“Lo so.”
“Tu resti?”
Chiese l’uomo rivolgendosi a Mozzie.
“Penso che saprai tornare in ufficio anche senza di me, ma vedrò di sentire se qualcuno ha notizie.”
I contatti di Mozzie.
Jones guardò Elizabeth come a domandarsi come facessero lei e il marito a fidarsi del piccoletto, ma era pur vero che era amico di Neal.
E se ti fidi di uno… finisci con il fidarti anche dell’altro.
Andò via con la sensazione di aver solo aumentato l’ansia di Elizabeth per il marito.
E senza informazioni per capirci qualcosa su dove potevano averlo portato, difficile pensare che avessero passato il confine.
Elizabeth chiese a Mozzie se poteva aiutarlo in qualche modo.
“Non ne posso più di pensare, mi vengono in mente le cose peggiori.”
L’uomo si tolse gli occhiali e si mise d’impegno a pulirli con una pezzuola, come a prendere tempo per una risposta. La donna lo fissò con un aria di materna preoccupazione, capendo che non sapeva che pesci pigliare.
“Neal ti ha detto di non farmi uscire per nessuna ragione?”
“È preoccupato, chiunque abbia rapito Peter può prendersela anche con te, qui sei al sicuro.”
“Tuesday(Martedì) è un bel posticino, ma ora lo hai mostrato a un federale, come te la caverai?”
“Ci sono altri sei giorni nella settimana, mia bella signora.”
Gli sorrise, era riuscita a levarlo dagli impicci dandogli altri argomenti di conversazione.
In fondo sapeva che non le avrebbe permesso di andare a zonzo per New York.
La cosa un poco le seccava, ma era anche poco utile da parte sua raddoppiare le loro preoccupazioni facendosi prendere da un inopportuna crisi sulle pari opportunità.
Avrebbe dato una lezioncina a Neal e a Mozzie, con l’aiuto di Diane e Sarah, quando tutto fosse finito.
Jones aveva mandato a Diana un messaggio in cui le spiegava di Sara, e tramite l’ufficio aveva fatto controllare se ci fossero voli in arrivo dal Sud America.
Il voli erano più di uno, ma quello giusto aveva l’arrivo previsto entro poco.
E il nome di Sara Ellis era nella lista passeggeri.
Sapendo dove cercarla era stato molto più facile rintracciarla, anche con il cellulare spento.
Si era fatto buio da un pezzo, decisamente il suo non era un lavoro dalle 9 alle 5.
Si diresse al JFK, tanto valeva essere là all’arrivo.
E dirle subito quello che era successo, e scoprire cosa aveva trovato di così importante da farle mandare prima di rientrare un messaggio a Peter.
Si diresse all’uscita degli arrivi dal Sud America, controllo l’orario di arrivo. Era questione di una mezz’ora.
Il tempo di rispondere ad alcuni messaggi, avvisare Mozzie che la donna stava rientrando negli Stati Uniti e venne annunciato il volo in arrivo, una fiumana di persone andò verso il nastro dei bagagli, notò immediatamente la chioma rossa che spiccava come un faro in mezzo a decine di capelli castani e neri.
E andò verso di lei, che non si sorprese di vederlo.
Probabilmente pensa che mi abbia mandato Peter a prenderla per portarla subito negli uffici.

Il volo era stato massacrante.
Anzi i voli, prima con un piccolo piper che le dava l’impressione di essere tenuto insieme con lo sputo, poi da Buenos Aires a San Paolo dove aveva verificato parte delle informazioni che aveva raccolto, e poi l’ultimo quello per New York.
Argentina e Brasile girati più velocemente che in una centrifuga.
C’erano dei posti in cui avrebbe caldamente sperato di non rimettere mai più piede, ma aveva visto dei panorami che le avevano fatto rimpiangere di non essere veramente in ferie. Sarebbe stato splendido tornarci senza l’assillo del suo lavoro extra per l’efbiai.
Un giorno forse.
Mentre prendeva la valigia al nastro notò un uomo che si avvicinava, lo riconobbe immediatamente.
Caspita, Peter non mi dà nemmeno il tempo di una doccia.
Si disse scuotendo il capo e salutando Jones.
“Avevo già deciso che la doccia l’avrei fatta dopo, ma la lettura del pensiero da parte di Peter mi inquieta.”
Vide l’uomo rimanere serio e comprese che doveva esserci qualcosa che non andava.
“Hai mandato un messaggio.”
“Sì, ne parliamo in ufficio? Credo debbano sentire anche Peter e gli altri.”
“Peter è stato rapito. All’inizio della settimana. È scomparso.”
All’inizio della settimana? Ma è stato quando sono arrivata in quel piccolo villaggio pieno di famiglie di origine tedesca.
Il pensiero che l’avessero notata e collegata a Peter, non l’aveva nemmeno sfiorata, fino a quel momento pensava di essere passata come una normale turista americana un po’ distratta.
Ascoltò l’uomo riferirle i dettagli del rapimento spiegatogli da Neal, riusciva a visualizzare la scena tanto il resoconto era dettagliato, logico che il suo messaggio mandato prima di partire li avesse mandati fibrillazione.
“Aveva detto che poteva essere pericoloso, ma quello che è finito nei guai è lui. Neal come la ha presa?”
“Non lo so, onestamente per me è spesso indecifrabile, Peter e Diana sono molto più bravi a capire cosa sta rimuginando.”
“Non sminuirti. Se non tormenta il cappello è un brutto segno.”
“Ora che mi ci fai pensare, è andato a Washington senza!”
“Neal Caffrey senza cappello? Bruttissimo segno, allora. Andiamo agli uffici?”
“Certo, sicura di non voler fare una doccia?”
“Mi rinfrescherò quando vi avrò dato i dettagli su cui lavorare. La cosa certa è che non può essere una coincidenza il rapimento di Peter proprio adesso. Devo aver stuzzicato le persone sbagliate, anzi… quelle giuste.”

Nel frattempo in uno stanzino mal illuminato un uomo cercava di capire come liberarsi.
Non riusciva a capire dove lo avessero portato.
Era in strada ad aspettare Neal, stava guardando l’ora pronto a chiamarlo di nuovo per domandargli dove si era andato a cacciare quando si era sentito afferrare e spingere sul sedile posteriore della sua auto.
Era stato colto di sorpresa e il cappuccio che gli avevano infilato in testa era impregnato di un qualche narcotico.
Ricordava di aver opposto resistenza per alcuni secondi e poi aveva perso conoscenza.
Nelle orecchie il rumore della sgommata.
Si era svegliato steso su un letto con una caviglia incatenata.
Una catena fissata al muro lunga abbastanza per andare fino allo stanzino accanto, un bagno, ma non per arrivare alla finestra dal lato opposto.
Una cavigliera!
Mozzie e Neal avrebbero colto il lato ironico della cosa.
Lui stesso per i primi secondi ne aveva riso. Un riso nervoso.
Gli portarono del cibo, non gli mostravano mai il volto, non dicevano una parola.
Per non farsi riconoscere, quindi non hanno intenzione di uccidermi.
Però voleva anche dire che poteva essere gente che lui conosceva.
Dei contatti altolocati della persona a cui stavano dando la caccia già sapevano, ma che fosse gente con cui aveva a che fare abitualmente… ecco quella era una cosa che lo disturbava oltre ogni dire.
Il primo giorno non aveva mangiato, il guardiano ne aveva riso.
Il secondo giorno aveva ceduto, sperando che non ci fosse qualche droga nel cibo o nelle bevande.
Se c’era non se ne era accorto.
Rimuginava a come fare per liberarsi della catena, quando si sentirono delle detonazioni.
Mi hanno trovato? Sapevo che non ci avrebbero messo molto!
Vide del fumo penetrare da sotto la porta.
“HEY! SONO QUI DENTRO! NON CI TENGO A FINIRE ARROSTO! TIRATEMI FUORI! ” Silenzio.
Il fumo stava riempiendo la piccola stanza rendendo l’aria irrespirabile.
No, non erano arrivati a liberarlo, non sembrava proprio una liberazione quella.
Forse chi mi ha rapito non vuole uccidermi.
Ma questi arrivati ora sono di un’altra opinione.

Furono gli ultimi pensieri che gli attreversarono la mente, prima di perdere conoscenza.

Diana lesse il messaggio di Jones, lo riferì agli altri.
Rossi le disse che lui ed Hotch dovevano parlarle.
Poi si rivolse a Neal. Gli fece cenno di seguirlo e lo accompagnò fin davanti la porta del suo ufficio.
“Venga, non si offenda, ma ci sono cose che preferisco non senta. Mi faccia una cortesia, mi assicuri che ho sperperato i miei guadagni da scrittore per l’originale e non per una copia. Poi le spiegheremo tutto.”
Neal entrò nell’ufficio domandandosi a cosa si stesse riferendo, poi lo vide.
Era stato battuto ad un’asta pochi mesi prima del suo arresto, e ci aveva fatto un pensierino a rubarlo. Ma non c’era stato verso di scoprire il compratore.
Un agente Efbai con un dipinto del Caravaggio in ufficio?
Poi rammentò la frase: guadagni da scrittore.
Osservò per alcuni minuti la tela.
Se era un falso voleva fare i complimenti all’autore, perché per lui era un originale.
Ma per i dipinti di quel genere ci sono tutta una serie di accorgimenti ed esami speciali per verificarlo.
E lui lo sapeva bene.
E anche l’agente Rossi doveva saperlo.
Volevano tenerlo all’oscuro.
La cosa lo seccava.
Uscì dall’ufficio e si trovò davanti Emily Prentiss.
“Devi controllare che non abbia preso niente?”
Chiese sarcastico.
“No, Dave ha solo detto di accompagnarti a prendere un caffè quando ti fossi stufato di ammirare il suo quadro. Sa bene che quel quadro è più al sicuro lì che in un museo.”
La donna pareva non aver minimamente dato peso al tono del giovane.
Come se non si aspettasse niente di meno.
“Suppongo abbiate già un profilo ben dettagliato del sottoscritto…”
“Neal.”
La donna fece una pausa come a dargli il tempo di calmarsi.
“Sappiamo chi sei e cosa fai, o almeno cosa facevi prima di raggiungere il tuo accordo con Burke. Ma ci sono cose che agli informatori non si dicono, o non si dovrebbero dire. Accordi che non si dovrebbero fare. Diana deve spiegare i dettagli. Quelli che io conosco già.”
L’uomo si girò a guardarla, con una strana luce nello sguardo.
“Non credo di capire.”
“Quando Dì mi ha domandato aiuto, per timore che qualcuno a New York fosse al soldo dell’uomo che cerchiamo, mi ha spiegato come mai si rivolgeva a noi e a noi solamente. Non è esattamente la procedura abituale, questa.”
“Vi conoscete da molto?”
“Oh solo… da tutta la vita.”
“Come?”
“Mia madre è stata per anni ambasciatrice, e io e Diane abbiamo frequentato le stesse scuole, e gli stessi ambienti.”
“Ma… alle figlie dei diplomatici viene sempre voglia di… entrare nell’Efbiai?”
“Può essere, non ho mai controllato quante altre ce ne siano, ma conosco qualcuno che può farlo.”
Gli fece strada verso una parte degli uffici poco distante.
E raggiunsero uno stanzino pieno di schermi come quello della sala riunioni.
“Questo è il regno di Penelope Garcia.”
“Oh, avete già preso il caffè?”
“No, stavo spiegando a Neal delle cose, ti spiace controllarci un dettaglio?”
“Dimmi.”
“Nell’Efbiai quanti sono i figli di diplomatici o ambasciatori in servizio attivo?”
“Uh… tolte te e Dì?”
“Esattamente, è una cosa che puoi verificare?”
“Dammi un minuto. Uh… caspita… non pensavo che foste così tanti. Quasi 40, vuoi il numero esatto?”
“No, ci basta, vero Neal?”
L’uomo era rimasto stupito dalla velocità con cui avevano avuto informazioni, anche abbastanza private, su tutti quelli che lavoravano per l’FBI. Certo che ottenere le informazioni sul suo conto, doveva essere stato praticamente una passeggiata.
Poi notò gli strani pupazzetti colorati che la donna aveva a lato della tastiera.
Ed anche appesi agli schermi.
“E quelli? Scacciapensieri?”
Fu il turno di Emily e di Penelope di restare basite stavolta.
Aveva colto subito il significato che avevano per Penelope gli strani oggetti di cui si circondava nel suo ufficio.
“Sì, ma come…”
Chiese l’informatica lasciando la domanda sospesa.
“Oh niente, lavorando per la sezione white collar mi capita di rado di avere a che fare con immagini di morti ammazzati, ma quelle poche volte… tendo a distogliere lo sguardo cercando di fissarmi su altro. Il bordo della foto, il tavolo dell’ufficio. Penso che dovendo averci a che fare più spesso un filtro sia indispensabile.”
Emily rimase ammirata per come l’uomo avesse messo a suo agio Penelope senza prenderla in giro per la sua eccentricità.
Le aveva spiegato bene Dì.
È affascinante e sa di esserlo.
“Ti portiamo qualcosa?” Chiese Emily all’amica.
“No grazie, sto aspettando che mi arrivino delle risposte poi devo…” si interruppe imbarazzata.
“… raggiungere gli altri in ufficio mentre io vengo tenuto alla larga.”
Terminò al suo posto l’uomo, con un sorriso, decisamente l’umore era migliorato.

Emily e Neal raggiunsero la caffetteria, quando erano a pochi metri sentirono la voce di Reid che stava elencando a Derek i vari reati di cui era sospettato Neal.
E l’elenco era lungo.
Evidentemente i due uomini non sapevano che Rossi aveva chiesto ad Emily di portarlo a prendere un caffè. Reid era preso dal discorso e non si avvide del cenno che gli fece Derek quando li vide arrivare.
Il giovane aveva cambiato lievemente argomento, era passato a sciorinare le statistiche dei casi di truffatori identificati contro quelle degli arrestati.
La media di Burke era parecchio alta, già prima della collaborazione con Neal, ben al di sopra degli standard del FBI.
“Lo sai che la media di casi risolti con un arresto per l’intera sezione White Collar è…”
“Reid, basta!”
Derek non aveva trovato altro modo per tacitarlo che dirglielo.
Neil osservò in silenzio di due davanti a lui, poi prese la caraffa del caffè e domandò ad Emily quale fosse la sua tazza. La riempi e gliela passò, servendosi a sua volta.
Sarebbe stato un pessimo caffè, ma gli serviva per prendere tempo.
Inutile arrabbiarsi, sapeva di essere un argomento di conversazione piuttosto ghiotto.
“È vero, la media di Peter è elevata. Ha preso anche me infatti, ma con me ad aiutarlo è salita ancora.”
Reid rimase in silenzio a domandarsi quanto avesse sentito di quello che aveva detto.
“Io stavo solo… ripassando il fascicolo.”
“Ho sentito, lunghetta la lista eh?” Rise l’uomo.
Derek lo guardò sorpreso, era la prima volta che una persona davanti alla memoria di Reid non reagiva con stupore.
Reid si sentì in dovere di spiegare: “Ho una memoria eiedetica quindi…” si fermò notando lo sguardo di Neal, pareva sapesse già cosa stava per dire.
“…ricordi tutto quello che vedi o leggi, lo so.” Disse l’uomo.
“Hai un tuo fascicolo su di noi?” Gli chiese Derek, un poco seccato, era la prima volta che qualcuno che non fosse Hotch o lui interrompeva Reid e le sue… spiegazioni. E la cosa non gli garbava affatto.
Chi si crede di essere? Pensò.
“No, ho un amico con la stessa memoria fotografica, non dimentica un libro, una citazione. E tende anche lui a… dover essere fermato.”
A Derek pareva impossibile esistesse un altro Reid, e lo disse.
“Ma davvero? Mi piacerebbe conoscerlo!”
Emily decise che era meglio togliere Neal dalla linea di tiro di Derek, o uno dei due si poteva fare male ed uscirne con l’ego malconcio. Non era certa sarebbe stato il suo collega ad avere la meglio.
“Scommetto che quando andremo a New York ci sarà l’occasione. Ora che ne dite se ci gustiamo il caffè da buoni amici?”
Derek colse lo sguardo di Emily.
Piantala! Diceva quell’occhiata. Non serviva una traduzione espressa in parole.
“Certo, avete idea di cosa si stiano dicendo Hotch e Rossi con Diana?”
“Sì, analizzano la lista che lui elencava prima e spuntano dai sospetti le certezze.”
“Dai Neal, non siamo lì nemmeno noi, ci sarà una ragione per cui sono solo loro.”
Gli disse Emily cercando di placare gli animi.
L’arrivo di Rossi evitò ulteriori imbarazzi.
“Caffrey, venga.”
Neal fece un cenno con la mano ai compagni di caffè.
E tornò nell’ufficio che aveva lasciato meno di una mezz’ora prima.
“Allora è l’originale?”
Disse l’uomo indicando il dipinto.
“Lo sa bene che lo è, comunque se non lo è io non ne sono l’autore.”
“Vuole sapere come mai non era con noi ad ascoltare i dettagli che ci ha dato Diana?”
“Mi piacerebbe.”
“Peter Burke ha mancato al regolamento, venendo a conoscenza di un reato un agente FBI deve procedere ad un arresto o ad una denuncia. Ma capiamo come mai lo ha fatto, e l’unico mezzo per non doverlo denunciare un domani, era di evitare la sua presenza quando siamo venuti a conoscenza dei dettagli. Diana ci ha parlato di quello che sapeva, ma era semplice sentito dire. Se lei fosse stato presente a confermare, sarebbe stato invece…”
“… una confessione davanti a testimoni. Non è un po’ ipocrita tutto questo?”
“Niente di diverso dal: Si dice… con cui si schermisce ogni volta che si nominano i suoi reati.”
“Ora che conoscete le voci di corridoio cosa cambia?”
“Tanto per cominciare dobbiamo andare a New York, ci sono delle novità di cui persino lei era all’oscuro. Sapeva che Burke aveva mandato una persona ad indagare in Argentina?”
“L’efbiai non ha giurisdizione là…”
“No, ma a quanto pare ha trovato qualcuno disposto a farsi una vacanza lavorativa: Sara Ellis.”
Dannazione Peter! Io non posso avere segreti, ma tu sì a quanto pare!
“Cosa ha scoperto?”
Domandò l’uomo con una nota di ansia nella voce.
“Una cosa chiamata operazione Eagle. E visto il cognome della persona che sospettiamo ci sia dietro al rapimento di Peter…” lascò finire la frase a Neal che colse il riferimento.
“Adler… Aquila in tedesco.” (NdA Eagle in inglese ok?)
“Esattamente.”
“Dobbiamo andare a New York.”
“Io e Diana abbiamo un volo tra due ore.”
“Verrete con noi, abbiamo un jet.”
“Ma… se non è la procedura abituale lo potete usare?”
“Chi ha detto che… ah Emily, diciamo che abbiamo avuto una dispensa per seguire questo caso, dato che è stato rapito un agente. Qualcosa in contrario a partire tra mezz’ora invece che tra due ore?”
“No. Non vedo l’ora di tornare a New York.”
Mentre lo diceva guardò un ultima volta il dipinto che stava in quell’ufficio.
“L’offerta era rimasta segreta, quanto le hanno scucito?”
“Non mi ci faccia pensare. Ma li vale tutti.”
“Poco ma sicuro.”
Dave notò come il giovane ne memorizzasse i dettagli, sapendo che probabilmente non avrebbe mai rivisto quel dipinto un’altra volta.
“Ne farà una copia finita questa storia?”
“Dipingere mi rilassa, ma ho smesso con i falsi.”
“Lo spero.”
Neal fece un sospiro.
“Mi ricorda Peter lo sa? Sempre a domandarsi dove sia la fregatura.”
“E si sbaglia spesso?” Disse Dave con un sorriso per stemperare la tensione.
“No, accidenti a lui, no.” Rispose l’altro ricambiando il sorriso.
Dave vide oltre quel sorriso, Diana aveva confermato i suoi sospetti parlando di quello che era accaduto con Fowler, giusto Peter gli aveva impedito di diventare un assassino.
Hotch aveva concordato con lui che andava tenuto d’occhio, fuoco che cova sotto la cenere era una definizione azzeccata.
Si sedette alla scrivania, e controllò le mail.

Nel frattempo Emily, Derek e Reid.
“Era il caso di difenderlo?”
“E chi ti dice che ho difeso lui?”
“Sai Derek pur essendo una manifestazione abbastanza rara, non è impossibile che ci siano altre persone con la medesima capacità che ho io, se poi consideri quanta memoria serva ad un truffatore per ricordarsi i dettagli di quello che combina… ecco.
Che un amico di Caffrey abbia una memoria fotografica non mi sorprende, anche lui per cavarsela con i falsi non deve scherzare in tema di memoria. Proprio per niente.”
“Mi stai dicendo che se invece di incontrare altri truffatori nella sua vita avesse incontrato prima Burke, sarebbe diventato un agente?”
“O io un ottimo truffatore, chi può dirlo?”
“Tu un truffatore, Reid…”
L’uomo si fermo di colpo, ricordando le volte che Reid lo aveva battuto a poker.
Sì, poteva anche aver detto la verità.
Bivi e scelte.
Chissà quale era stato il bivio giusto per Reid e quello sbagliato per Caffrey.
Potevano davvero essere simili come diceva.
E la cosa non gli piaceva, per niente.
Lo considerava un criminale, per di più non pentito di quello che aveva fatto. Non aveva ucciso nessuno, ma quell’assenza di rimorso per i crimini commessi non deponeva a suo favore; nella scala dei valori di Derek il pentimento era una cosa importante per accettare gli sbagli altrui, ma Neal se ne vantava.
No, non poteva piacergli.
L’agente Burke avrebbe dovuto spiegargli cosa lo avesse spinto a fidarsi tanto.

Hotch stava ancora parlando con Diana.
L’anno precedente per lui era stato durissimo, la sua ex moglie uccisa da un serial killer con cui lui non aveva voluto fare un patto.
Ora questa storia.
Un agente che fa un patto con un criminale per prenderne un altro.
Vero i patteggiamenti erano all’ordine del giorno per certe cose. Specie in casi di reati minori.
Anzi a volte sapeva che anche per gli assassini venivano considerati gli sconti di pena.
A volte gli sembrava che tutto remasse contro a ricordargli che sua moglie era morta per colpa sua.
Diana aveva capito, era a Washington quando era successo. Era impegnata in altri uffici, ma veniva di tanto in tanto a salutare Emily ed era stata presente al funerale. Ricordava di averla vista.
O almeno gli sembrava di ricordarla, c’era stata talmente tanta gente.
“Avrei preferito essere messo al corrente subito dei dettagli.”
“Lo so e me ne scuso, ma ho agito d’impulso chiamando Emily e dopo… eravamo in riunione tutti insieme e mi sono resa conto che se Neal avesse confessato davanti a tutti…”
“… sarebbero stati nei guai sia Burke che Neal finita la storia. Ma forse nei guai ci finiranno lo stesso.”
“Non se prendiamo Adler.”
“Questo è vero.”
Inutile rimuginare sulle ragioni di Burke, bisognava trovarlo ed alla svelta.
Poi si poteva discutere.
Forse.

Dopo la sede di Quantico lo spostamento sul jet privato dell’efbiai, ne avrebbe avute di cose da raccontare a Mozzie terminata quella storia.
Ma quando era stato il momento di salirci per un momento si era sentito male.
Con Diana aveva preso il primo volo di linea per l’aeroporto Dulles a Washington D.C. quindi un normale mastodontico boeing che faceva scalo a New York e proseguiva per Washington.
L’ultima volta che era stato sul punto di salire su un jet simile a quello che li ospitava ora, era stato l’anno precedente, alla morte di Kate.
Nessuno parve badare all’attimo di smarrimento del giovane.
Quando si sedette, inconsciamente scelse lo stesso posto dove su un altro aereo era stata la sua donna.
La ricordava ancora affacciata al finestrino mentre lo guardava, si era girato per dire una cosa a Peter e… il boato dell’esplosione lo aveva scaraventato a terra.
Si era alzato ed aveva cercato di andare verso di lei, disperato.
Peter lo aveva trattenuto, non c’era niente che poteva fare.
Strinse con forza il bracciolo.
Risentiva l’odore del carburante che brucia, rivedeva i rottami dell’aereo che aveva visto in seguito con Mozzie, riascoltava se stesso gridare il nome di Kate, sentiva ancora il braccio di Peter che lo tratteneva, doveva anche averlo colpito perché lo liberasse, ma lui non aveva mollato la presa. Gli aveva salvato la vita. Rallentando il suo arrivo all’aereo prima e bloccandolo poi.
Diana gli si sedette a fianco e gli prese la mano.
Neal la guardò stupito, lei non era proprio il tipo da slanci affettuosi.
Non con lui almeno.
“Va tutto bene, Neal?”
“Sì… io… lo sai.”
“Lo so.”
Ne avevano parlato una volta sola. Lui voleva essere su quell’aereo al posto di Kate. Lei sapeva cosa voleva dire sentirsi in colpa per la morte di qualcuno. Avevano condiviso quel momento, per un attimo. Poi avevano cambiato argomento, non c’era bisogno di parlare. I silenzi condivisi dicono molto a volte.
I membri dell’unità comportamentale fecero finta di non aver notato la scena e si misero seduti con le cinture allacciate per il decollo.
Dave ripensava alla mail che aveva inviato, sperava che potesse aiutarli.
C’erano cose che loro non potevano fare, come verificare quello che aveva scoperto la Ellis, ma quella persona avrebbe potuto verificare per loro.
Hotch sapeva a cosa aveva pensato Neal, il suo fascicolo lo aveva letto.
E nemmeno per lui era facile.
Ancora a New York, ancora esplosioni.
L’attentato in cui era rimasto coinvolto due anni prima, luoghi e modi differenti, ma lo stesso finale.
Sapeva perfettamente cosa aveva provato.
Aveva pure colto l’amara coincidenza del nome, Kate.
Emily si stava allacciando la cintura quando notò gli sguardi dei due uomini di fronte a lei, capire dove era andato a parare Hotch sapendo dell’esplosione dell’aereo, il primo delitto di Adler di cui erano a conoscenza, era stato facile. Kate Moreau era morta quasi allo stesso modo di Kate Joyner.
Ma Dave? Cosa lo tiene in pensiero a quel modo?
L’uomo si sentì osservato e la guardò.
“Stavo ripensando a quanto la mente umana sia malata, uccidere per un oggetto.
Niente vale una vita umana, niente.”
Lo so che si domanda cosa sta capitando, ma non penso sia il caso di dirle a chi ho mandato una mail, prima di avere una risposta.
Derek fu quello che osservò più a lungo la mano di Diana che stringeva quella di Neal.
Mentre Reid, fu l’unico che non dovette fingere, lui non se ne accorse minimamente.

La porta venne spalancata.
Peter era riverso a terra nel punto più lontano della stanza, per quanto glielo concedesse la catena che lo teneva prigioniero.
Uno degli uomini del gruppo che aveva fatto irruzione gli tastò il polso e controllò il respiro.
“È vivo.”
“Levategli quella catena, lo portiamo con noi.”
Disse un altro uomo all’indirizzo del guardiano, lo dovevano aver picchiato. Gli sanguinava un labbro ed aveva la faccia gonfia.
L’uomo di prima spalancò la finestra per fare uscire il fumo.
Avevano scoperto il nascondiglio il giorno prima, il loro capo era assai seccato che ad altri fosse venuta un’idea simile alla sua.
Ma erano riusciti a trovarlo prima dell’efbiai ed ora avrebbero messo le cose a posto.
Entrarono altri due uomini che afferrarono Peter, una volta liberatolo dalla catena, e lo trascinarono fuori dallo stanzino. Ancora privo di conoscenza.
Non sapeva ancora di essere appena passato dalla padella alla brace.
Il primo uomo si voltò verso il guardiano e gli disse:
“Avverti il tuo capo che non avrà un’altra possibilità, o con noi o contro di noi!”
L’uomo fece cenno di aver capito muovendo piano la testa, pareva gli costasse un grande sforzo quel piccolo movimento.
Ma se pensava a come avrebbe preso la cosa il suo capo, gli sembrava ancora niente al confronto.
Aveva detto: “Assicurati che stia bene. A parte il disagio della catena per qualche giorno, non deve accadergli niente.”
Ecco, quelli a lui non sembravano altrettanto ben intenzionati.

All’efbiai di New York intanto erano arrivati gli altri.
Durante il volo Diana si era ritrovata a pensare a quella sera con Neal. Era sotto copertura e doveva fingersi una prostituta, per incastrare gente coinvolta in un giro di riciclaggio di denaro sporco. Era sorto un imprevisto.
Lo spiegò alla trasmittente a cui gli altri stavano ascoltando dal furgoncino: “Non sapevo di dover fare un provino!”
Si guardò in giro, aveva già capito cosa fare quando le si parò davanti Neal, che aveva lasciato il furgoncino nonostante il parere contrario di Peter.
“Posso offrirle da bere?”
“Dipende, non so se te lo puoi permettere!” Diana doveva raccimolare 10.000 dollari
Neal le si avvicinò e cingendole la vita le sussurro in un punto tra il collo e l’orecchio per cui anche dal furgoncino sentirono: “Peter, per i 10.000 chiedi al nostro comune amico.”
Peter dal furgoncino ebbe un moto di stizza: “Temevo lo avrebbe detto.”
Jones notò che non avrebbero fatto in tempo con i metodi tradizionali e Peter era d’accordo: quella era un ottima occasione per seguire i soldi e collegarli alla persona su cui stavano indagando.
Non restava che fidarsi di Mozzie.
Che arrivò alla stanza dove Diana e Neal avevano finto di appartarsi, con i soldi necessari.
In quella stanza Diana aveva chiacchierato un po’ con Neal. Lui prima mentre erano al bar le aveva chiesto come avrebbe fatto se lui non fosse arrivato e lei gli aveva spiegato che avrebbe bloccato il primo che ci provava, sarebbero saliti nella stanza e lei gli avrebbe detto di non fiatare se non voleva finire dentro per adescamento. In quell’occasione Neal aveva scoperto che il padre di Diana era un diplomatico e che lei era stata praticamente cresciuta dalla sua guardia del corpo, Charlie, morto per proteggerla. Da lì il suo senso di colpa, quello che le aveva permesso di capire quello che provava Neal.
Ma ora stavano salendo al 21esimo piano, quello dei loro uffici.
Emily disse a Neal che ora sarebbe toccato a lui fare gli onori di casa.
L’uomo nemmeno rispose. Forse non la sentì.
Lo sguardo calamitato da una chioma rossa che stava su nella sala conferenze. La donna parve sentire lo sguardo su di sé e si voltò nella loro direzione.
Salirono nella sala dove erano riuniti Huges, il capo di Burke, Jones e Sara.
Lì il tavolo era rettangolare.
Neal notò in quel momento quanto la cosa fosse diversa dalla sede degli altri a Quantico. Là il tavolo rotondo metteva tutti sullo stesso piano, persino lui che era solo un consulente era alla pari degli altri. Con un tavolo rettangolare invece, cambiavano le sensazioni.
Ma alla fine l’importante era fare bene il proprio lavoro.
Salutò Sara.
“Non sapevo fossi andata in vacanza.”
“Suppongo che meno gente sapeva dove stavo e più era sicuro. Forse non abbastanza però.”
“Cosa hai scoperto? Chi ha rapito Peter?”
“Lo sai chi è stato, ora forse è tornato a New York”
“E come? La sua faccia è tra quelle dei maggiori ricercati del paese.”
“Lo sei stato anche tu. Come hai fatto a non farti prendere da Burke per ben tre anni? E da me?”
Gli altri osservarono lo scambio in silenzio. Consapevoli della tensione tra i due.
Jones aveva già detto a Diana quello che Sara gli aveva riferito.
C’era poco altro da aggiungere.
Operazione Eagle era iniziata quando Adler era un bambino. Il padre ed il nonno prima di lui si erano dati fa fare a recuperare oggetti appartenuti ai, o più verosimilimente derubate dai, nazisti.
Lui ne aveva raccolto l’eredità e le fissazioni, come quella per il carrilion che si diceva nascondesse il segreto per il più grande dei tesori.
Quando si era convinto che lo aveva rubato Neal aveva fatto di tutto per obbligarlo a consegnarglielo.
Ma Neal non lo aveva. Semplicemente aveva lasciato che lo credessero.
Reputazione. La cosa migliore per un truffatore e non averne nessuna, o averne una in aria di mito.
E lui apparteneva alla seconda categoria. Per quello lo avevano preso, gli diceva Mozzie.
Mentre Adler, almeno fino alla sua scomparsa, ne era privo… un onesto uomo d’affari. Solo che a volte, spesso, la parola onesto ed uomo d’affari… sono ossimori.
“Come sai che è tornato a New York?”
“Stavo seguendo un carico che è stato portato in Brasile, quando all’aeroporto di San Paolo mi è parso di vederlo, ma poi è sparito tra la folla e io avevo il volo per rientrare a New York, non potevo mettere in allerta l’interpol senza qualche prova in più di quello che avevo in mano. E se fosse stato solo uno che gli somigliava?”
“Dannazione! Non può essere un caso! Tu scopri qualcosa, Adler riappare e Peter viene rapito.”
“Credi che non lo sappia? Abbiamo i numeri dei container in arrivo dal Brasile che ho fatto contrassegnare. Potrebbero averlo nascosto in uno di quelli. Ma cosa vuole, ucciderlo per vendicarsi del fatto che non ha il carillion?”
“NO” Gridò Neal “Vuole il frattale, intende usare Peter per uno scambio.”
Sara aveva fatto un passo indietro, non lo aveva mai visto così sconvolto.
“Neal, che è il frattale?”
“Eri partita subito per l’Argentina, vero? Niente aggiornamenti.”
L’aria di Neal era quasi di scherno.
Incomprensibile.
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che ho quello che vuole Adler. Ma non glielo darò fino a che non avrà liberato Peter!”
“Calma Caffrey, all’Efbiai non si tratta con i rapitori. O almeno, lo facciamo alle nostre condizioni.”
Era stato Huges ad intervenire. Aveva capito bene l’ansia di Neal, sapeva quanto si sentisse in debito con Peter.
Diana fermò Neal prima che desse una risposta delle sue.
“Gestiremo insieme la cosa, niente colpi di testa. Pensa a cosa ti direbbe Peter.”
Derek colse l’esitazione nell’aria spavalda del giovane, come se solo in quel momento si fosse accorto di aver detto troppo e di non potersi più tirare indietro.
“Dovremmo contattare Mozzie.” Fu la risposta di Neal.
“Ha lui il frattale?”
“No, ha quello che ci serve per usarlo. Quello ci che permetterà di scoprire cosa cerca Adler.”
“Chi altri sa che Mozzie ci stava lavorando? Avrebbero dovuto rapire lui… secondo logica.” Disse Jones.
Un brivido gelato percorse la schiena di Neal.
No, non poteva essere.
Non avrebbe potuto.

“Alex.”
Jones e Diana si guardarono come se la cosa non li sorprendesse. Alex Hunter aveva l’incredibile capacità di sbucare fuori quando meno te lo aspetti, ed era stata spesso complice di Neal.
Un rapporto complicato il loro.
“Spiegati meglio.”
“Non ha senso, perché rapire Peter? Lei lavora con noi.”
“O fa il doppio gioco per Adler. La hai conosciuta quando lavoravi per lui, no?”
Huges assunse un espressione sorpresa, non aveva idea che Caffrey avesse lavorato per Vincent Adler. Quando Peter fosse stato liberato avrebbe dovuto chiarire svariate cose.
“No, non può essere.”
“Neal, per essere un abile truffatore tendi a fidarti anche troppo di un bel visino.”
“Diana, era questo che intendevi con: pensa a cosa ti direbbe Peter? Perché penso sarebbero state le sue esatte parole.”
Diana e Sara si scambiarono un occhiata, ecco il solito Neal. Per fortuna.
“Ragioniamo un attimo, questa Alex potrebbe essere d’accordo con Adler. Oppure potrebbe aver organizzato il rapimento di Peter per poter ricattare Neal e Mozzie una volta si fosse trovato quello che Adler sta cercando. O potrebbe non c’entrare niente.”
La sintesi di Reid era stata impeccabile.
“Hai il suo numero che ne dici di chiamarla?”
Disse Diana ricordando come la donna gli avesse dato il numero tempo prima in occasione del ferimento di Mozzie.
L’uomo prese il cellulare e stava per digitare il numero, quando gli arrivò un messaggio. Da Alex.

Quando si dice il caso!

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