Visita guidata, prima parte

Avvertimenti:rovinerò entrambe le serie con un colpo solo!
Personaggi:Team Criminal Minds/ Team White Collar

Questa fanfiction prevede un uso indiscriminato dei personaggi di due telefilm.
White collar e Criminal Minds, i cui produttori e sceneggiatori -Eastin, Bernero e compagnia briscola – spero non mi facciano causa ma parola non ci sta lucro alcuno, solo divertimento.
Mio di sicuro, dei lettori non so. :rolleyes:

Note:Per i pomodori e le uova, secondo scaffale sulla sinistra.

Visita guidata

E così quella era Quantico.
Era la prima volta che vi metteva piede.
Finora le sue frequentazioni degli uffici dell’FBI si erano limitate al piano numero 21 del palazzo a New York.
L’ufficio di Peter.
L’open space dove lui prestava la sua opera come consulente esperto in falsificazioni e furti d’arte.
E New York stessa.
Era casa sua da oltre otto anni ormai.
E negli ultimi 4 piuttosto stretta.
Per tre la cella di una prigione, poi nell’ultimo anno le due miglia, o tre chilometri, del raggio della cavigliera elettronica della sua libertà condizionata e l’accordo con Peter.
Ora era molto lontano dalle due miglia consentitegli, ma era con Diana.
Ecco la deroga al limite, se era con un agente al lavoro poteva sgarrare, ma solo per lavorare.
Normalmente lui lavorava con l’agente speciale Peter Burke, l’unico che lo avesse arrestato nel corso della sua carriera. Due volte.
Ma stavolta Peter era altrove. E dovevano trovarlo, con tutti gli aiuti possibili.
L’agente Diana Barrigan mostrò il tesserino di riconoscimento e gli fece cenno di seguirlo, era stata distaccata a Quantico l’anno precedente, poi era tornata a New York, ma nei mesi a Quantico si era fatta degli amici, a cui non aveva esitato a chiedere una mano.
Presero un ascensore, poi un lungo corridoio, si somigliavano tutti gli edifici federali, aveva ragione Mozzie… anche se non capiva come potesse saperlo il suo amico, visto che l’unico ufficio federale in cui era entrato era quello in cui lavorava lui.
Una porta a vetri con il logo dell’Efbiai.
Come se ci fosse bisogno di precisarlo, l’intero edificio era federale.
Un occhiata veloce, ah già cambiava la sezione.
Sembrava uguale, ma le scritte erano differenti.
Diana chiamò un nome di donna, una mora dai capelli lunghi si voltò nella loro direzione e le andò incontro con aria felice.
“Dì, che bello rivederti! Vieni gli altri ci aspettano in sala riunioni. Lui deve essere…”
“Neal Caffrey, piacere.”
“Neal lei è Emily Prentiss, attento a quello che dirai, non c’è profiler migliore.”
“Non dirlo in sala riunioni, io vorrei ancora lavorare con i miei colleghi in futuro.”
Neal osservò divertito lo scambio tra le due donne, venivano da unità differenti, ma dovevano aver trovato dei punti di contatto per cui si era stabilità una reciproca stima.
Salirono i pochi gradini che separavano l’open space dalla sala riunioni.
“Ma li fanno con dei moduli prestampati?” Gli scappò detto.
Emily si voltò nella sua direzione, osservò cosa stava guardando e gli sorrise.
“Dici gli uffici? Eh così ci sembra sempre di stare a casa, qualsiasi sia il distaccamento.”
“Non dargli corda, conosce solo l’ufficio di New York.”
Neal scrollò le spalle con fare noncurante, mentre stavano entrando in una sala con un tavolo rotondo al centro.
Un uomo alto con i capelli corti e neri gli si fece incontro, salutò Diana e si presentò.
“Piacere agente speciale Aaron Hotchner.”
Si voltò verso i colleghi ed indicò gli altri presenti scandendo i loro nomi, ad unico beneficio di Neal.
“Agente speciale Derek Morgan”
Un cenno del capo da parte dell’unico uomo di colore presente in sala.
“Agente speciale David Rossi.”
Un uomo col pizzetto rispose alzandosi dalla sedia e stringendogli la mano. E quello Neal non se lo aspettava proprio.
“Dottor Spencer Reid”
Sembrava avere la sua età il giovane che rispose con un cenno della mano al suo saluto Dottore che ci fa un dottore all’efbiai?
“Agente Penelope Garcia.”
Anche quella donna pareva fuori posto in quella stanza, aveva l’aria di chi vorrrebbe stare altrove, ma non può.
“Ho l’impressione che voi di me sappiate anche troppo, ma comunque, piacere di conoscervi.”
Disse il giovane sedendosi nell’ultima sedia rimasta libera. Alla sua destra Diana e a sinistra il caposezione Hotchner.
La riunione poteva incominciare.

Le foto non gli rendevano giustizia.
Quando Emily le aveva detto su cosa, e con chi, avrebbero lavorato per i prossimi giorni, Penelope aveva fatto quello che faceva sempre, aveva preso informazioni.
E visionato fotografie.
Quelle segnaletiche erano pessime.
Ma che stava per arrivare in ufficio un gran bel giovanotto era evidente.
La sua collega, l’informatica della sezione White Collar di Washington le aveva detto qualcosa sul fatto che secondo lei non era niente di che, ma le sembrava che fosse come la storia della volpe con l’uva.
Siccome non la poteva prendere, dopo avervi provato e riprovato, aveva deciso che era acerba e non la voleva.
Visto che Neal Caffrey avrebbe lavorato con lei, allora non era un granché.
Chissà come devono essere fatti quelli che lo sono.
Inutile pensarci, è un bel vedere, questo è sicuro!
Ops Hotch mi ha presentata, saluta Penelope, ti ricordi come si fa?
Suvvia… lavori con Derek Morgan non è che non sei abituata ai bei ragazzi!

Il saluto uscì.
E lui parve aver colto la sua esitazione.
Oh non un altro profiler. Mi basta la squadra grazie.
Poi disse qualcosa sul fatto che loro sapevano anche troppo di lui.
Sì, abbiamo controllato prima di accoglierti qui a braccia aperte, pensi bene.
Il sorriso che le stava per salire alle labbra rimase in gola.
Lo aveva visto farsi serio di colpo.
La scheda che era apparsa sugli schermi di fronte a loro era quella dell’agente Burke.
Erano amici quei due.
Quell’amicizia che nasce dalla conoscenza reciproca.
Una cosa che nessuno di loro avrebbe mai potuto coltivare per qualcuna delle persone che catturavano.
Ma loro catturavano assassini.
Caffrey non era un assassino.
E non truffava poveri vecchietti derubandoli della pensione.
Oh restava un delinquente e per questo era quanto meno opinabile il rapporto creatosi tra un agente Efbiai e il suo consulente, ma quello sguardo davanti alla scheda.
A fianco della foto dell’uomo c’era la macchina che era stata ripescata dalla baia.
Era dolore quello che aveva visto. E non aveva potuto riderne, proprio no.

No, non era morto Burke.
Avevano gettato l’auto nella baia per rallentarne il ritrovamento, ma sapevano che era stato rapito.
Non tutti erano d’accordo con la ricostruzione dei fatti fornita da Neal, e il capo di Burke aveva detto a Diana di farsi aiutare per capire dove potevano averlo portato, prima che dai piani alti chiudessero il caso dandolo per disperso.
E Diana aveva pensato a stilare un profilo della persona che pensavano stesse dietro a tutto, ma non un profilo qualsiasi.
Quest’uomo si era macchiato di più delitti.
Voleva un profilo su un serial killer, le cui dinamiche erano però più note a Neal, che non a loro.
Per quello la riunione.
Con Neal a spiegare le cose che potevano sfuggire a chi segue schemi diversi.
Però dovevano andarci cauti, Neal non era preparato a certe cose.
Non aveva l’addestramento di un agente.
Il suo sguardo quando aveva visto di nuovo la macchina di Peter, era lo stesso di quel giorno, quando le aveva detto che avevano rapito l’uomo ed era dalla parte opposta della strada.
Impotenza, rabbia e dolore mescolati insieme.
Il Neal scanzonato che ironizzava, scomparso.
Al suo posto un accenno di quello che aveva visto il giorno che stava per sparare a Fowler, e solo Peter lo aveva fermato, ma quello ai suoi amici di Quantico non lo aveva detto.
Pensava non servisse dire che Neal se voleva poteva diventare pericoloso. Chiunque può diventarlo se debitamente provocato. E Neal da quell’uomo era stato provocato ad oltranza.
Non voleva tradire la fiducia che Peter aveva in lui.
Sperava di non doverlo fare.

Un lampo.
La rabbia era passata come un lampo nello sguardo di quel giovane.
L’agente Rossi prima si era alzato a stringergli la mano per vedere come reagiva alle azioni impreviste.
Impassibile. Un sorriso stampato in volto, un aria canzonatoria.
Se anche il gesto lo aveva stupito lo aveva nascosto bene, indecifrabile.
Fino a quel lampo. Davanti alle fotografie.
L’odio nei confronti di chi lo aveva colpito era evidente, ma solo se non ci si faceva ingannare dal sorriso che metteva su come una maschera.
Aveva ripreso compostezza in pochi istanti, ascoltava sereno la lista di nomi che elencava Garcia.
Sembrava preso a prendere appunti mentalmente.
Oh no… ci mancava un altro Reid!
Ma quell’attimo di odio, di ira repressa appena intravista, lo preoccupava.
Osservò Diana e si accorse che anche lei osservava le reazioni del giovane.
Sa qualcosa.
La decisione era presa, prima di qualsiasi mossa lui e Hotch dovevano parlare chiaro con Diana, non potevano rischiare.
Chiarezza prima di tutto, loro dovevano essere al corrente di tutte le dinamiche in gioco.
Ogni dettaglio.
O sarebbe stato inutile qualsiasi profilo.

Era sotto esame e lo sapeva.
Niente di strano, era abituato ad esserlo.
Per molti, se non per tutti, lui era solo un delinquente che per non stare dietro le sbarre aveva accettato un patto con un agente.
Certo con Peter e la squadra aveva creato un buon rapporto, a volte si fidavano di lui, ma rimanevano all’erta. Erano le regole del gioco.
Mozzie avrebbe avuto una massima adatta allo scopo.
Lui in quel momento no.
Quando sullo schermo era apparsa l’auto di Peter per un attimo aveva rivisto il rapimento.
Peter lo aveva avvisato che non doveva andare in ufficio, ma ad un indirizzo sulla 23esima strada.
Vi si era diretto, ed aveva visto l’agente fuori dalla sua auto che guardava l’orologio impaziente.
Aspettava lui, era in ritardo.
Neal stava aspettando di attraversare la strada quando due persone avevano afferrato Peter alle spalle, gli avevano messo in testa un cappuccio nero e lo avevano spinto dentro la macchina, per poi sparire velocemente ingoiati dal traffico di New York.
Aveva chiamato immediatamente la squadra, i soccorsi.
Niente l’auto era scomparsa, trovata due giorni dopo nella baia.
Nessuna traccia di Peter.
Sparito nel nulla come l’uomo a cui lui e Neal stavano dando la caccia.
E l’idea che le due cose fossero collegate era ben più di un ipotesi, dovevano aver scoperto qualcosa che aveva messo l’uomo in allarme.
Si erano avvicinati troppo senza saperlo.
E questo si era premurato di rendere inoffensivo Neal levando di mezzo l’unica persona che aveva abbastanza fiducia in lui da andargli dietro quando se ne usciva con qualche trovata.
Ascoltò la lista di nomi che già conosceva a menadito, le ultime ricerche effettuate, le ultime tracce.
Mancavano quelle parti che conosceva solo Peter.
Era stato da lui qualche settimana prima.
Voleva i dettagli di una storia, in cui aveva capito era coinvolto.
Non ne voleva parlare, certi dettagli erano reati per cui poteva ancora venire processato.
Peter sapeva che la maggior parte delle cose di cui era solo sospettato le aveva fatte sul serio, ma tra di loro c’era la regola del: si dice, non hai prove.
Ora gli stava chiedendo di rilasciare una confessione.
E gli aveva proposto un patto.
“Tu mi dai i dettagli, in modo che noi si possa prendere quella persona, e io dimenticherò di averli saputi da te, immunità totale, almeno per quello che mi dirai stasera.”
“Immunità totale?”
“Hai ucciso qualcuno?”
“No!”
“Ok, allora totale immunità. Racconta.”
E lo aveva fatto.
Si fidava di Peter, sapeva che avrebbe mantenuto la parola.
Anche con Sara.
Sara Ellis, recuperava beni di lusso per una compagnia di assicurazioni.
Era stata al suo processo anni prima.
Aveva aiutato a farlo condannare, come Peter del resto, ma voleva ancora qualcosa da lui.
La verità su un dipinto di Raffello che si diceva aveva rubato lui.
Era vero. Era stato lui. E faceva parte della storia raccontata a Peter, i sospetti ora erano certezze.
Ma non aveva proprio voglia che Sara lo scoprisse, non adesso che aveva smesso di registrare le loro conversazioni, sperava sempre di coglierlo in castagna le prime volte che avevano lavorato insieme.
Sbattè le palpebre, Sara non c’entrava in quel momento.
Doveva capire come spiegare le cose dette a Peter senza metterlo in cattiva luce con i colleghi e possibilmente senza finire di nuovo in prigione.
Cosa poteva aver detto Peter a Diana di quella sera?
Quanto le aveva riferito per permetterle di aiutarlo nelle indagini?
Forse tutto, Peter si fidava di Diana come lui di Mozzie, e poi erano solo conferme di cose che bene o male già sapevano.
Perché non glielo ho chiesto prima? Cosa aspettavo?
Aveva perso il filo di quello che stavano dicendo, tutti lo stavano fissando in silenzio.
“Tutto ok?”
Chiese l’agente Hotchner notando il suo spaesamento.
Derek aveva domandato a Neal dei dettagli su cose che Diane aveva accennato e si erano accorti che l’uomo si era come assentato dalla sala.
“Io… sì… ecco… stavo ripensando a quando Peter mi accennò al fatto che dovevo dirgli tutto quello che sapevo sulla persona che stavamo cercando, perché potesse catturarlo.”
Guardò Diana, sperando che proseguisse lei, facendogli capire fino a dove era obbligato a parlare e dove poteva omettere.
La donna di colore sospirò pensando che Neal la stava cacciando in un guaio e lei non aveva modo di impedirglielo.
“Peter ha fatto un patto con Neal: tutta la verità sull’uomo che stiamo cercando senza conseguenze per lui.”
“A noi interessa ritrovare un agente rapito e catturare un omicida, il resto non ci riguarda. Suppongo che l’agente Burke abbia fatto il medesimo ragionamento.”
Il modo ed il tono in cui l’agente Hotchner scandì il nome e il grado di Peter dette fastidio a Neal, ma si disse che non poteva aspettarsi di meglio da degli sconosciuti.
Lo sguardo del caposezione quando Diana aveva parlato di patto si era incupito.
Non ne capiva la ragione, sapeva bene chi era e cosa faceva perché stupirsi?
Ma non gli interessava, lui voleva solo sapere come potevano aiutarli.
E sbottò.
“Non capisco come sezionare la mia di vita possa salvare quella di Peter!”
“La persona che si suppone abbia fatto rapire Peter quanto sa della sua vita? Ecco spiegato come le due cose si intrecciano.”
Con un sospiro Neal si appoggiò allo schienale della sedia.
Era troppo teso.
Quasi due giorni senza dormire.
Un sapore metallico in bocca.
Lo stomaco chiuso.
Cosa gli aveva detto una volta Peter, quando lui era preoccupato per Mozzie?
“Ricordati di questa sensazione.”
Maledizione Peter!
Non potevi stare attento?
Sei tu l’agente addestrato, no?

Guardò di nuovo l’agente Hotchner.
“Mi scusi.”
“Non importa, è teso e la capisco, ma stiamo dalla stessa parte. Abbiamo il medesimo obiettivo.”

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