Quando, terza parte

Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho deciso tempo fa che dovevo far tribolare un poco alcuni soggetti… le mie prime lettrici!

Permesso?
Domandò JJ, aprendo la porta dopo aver bussato alla stanza di Diane Reid; la donna era seduta sulla poltroncina davanti alla finestra, un immancabile libro in mano, alzò la testa ed osservo confusa la persona davanti a lei, domandandosi dove l’aveva già vista quella biondina simpatica che le sorrideva senza entrare nella stanza.
“Entri pure”
Poi vide la donna mora alle sue spalle, e ricordò, erano colleghi di suo figlio.
Si alzò in piedi.
“Voi lavorate con il mio Spencer, gli è forse successo qualcosa?”
Domandò la donna, ora non solo confusa, ma anche un po’ spaventata.
JJ le si fece incontro rassicurante.
“No, non gli è successo niente.”
“Lei è una pessima bugiarda lo sa? Cosa è capitato?”
Emily e JJ si scambiarono un’occhiata, meglio dirle la verità, o almeno una sua parte.

Iniziò Emily.
“Si è assentato senza permesso dal lavoro. Speravamo fosse qui.”
“Le dispiace se lo stiamo ad aspettare un poco? Vorremmo evitargli guai con il nostro superiore.”
“Ma lui sta bene?”
“Sì, ha solo voluto staccare un poco la spina, e davamo per scontato che si sia diretto da lei.”
“E siete preoccupati, perché non è da lui andarsene senza dire niente.”
Riprese JJ.
“Esattamente, ma risolveremo tutto, vedrà.”
“Spencer è fortunato ad aver dei così buoni colleghi.”
“Siamo noi quelli fortunati ad averlo come collega ed amico.”

Diane si rimise seduta, riprese in mano il libro che aveva poggiato sul bracciolo della poltrona e tornò a leggere.
Come se avesse bisogno di estraniarsi dalla realtà che la circondava.
Forse erano i farmaci, forse la malattia, ma JJ ed Emily avevano la netta sensazione che di lì a poco avrebbe anche potuto ritornare a domandare a loro cosa ci facevano nella sua stanza.
Dimentica di quanto appena avvenuto.
Si misero sedute ad aspettare.
Con in testa un solo pensiero, che la parola che avrebbero usato per Spencer non sarebbe mai stata fortunato.

Fortunato?
Doveva sentirsi fortunato.
Quello che gli avevano appena detto i medici mandava Derek su tutte le furie, ma sapeva che gli stavano solo dicendo la verità.
L’ennesima visita.
L’ennesimo parere.
“È stato fortunato giovanotto!”

Una gran voglia di dirgli che era un uomo fatto da un pezzo, e che giovanotto proprio non gli si addiceva.
Una gran rabbia di non farcela ancora a superare l’afasia.
Sapeva che per pochi millimetri la sua lesione poteva essere irreversibile, ma gliela stavano ripetendo troppe volte quella parola. Ormai la odiava.
Un’altra volta e sarebbe sbottato, anche se non sapeva bene come.
Pareva però che i medici ne avessero avuto a sufficienza per quel giorno, erano salvi.
Fuori loro dentro Penelope.
“Ho sentito gli altri, Reid non è dalla madre, tu non hai idea di dove potrebbe essere?”
Gli aveva spiegato che se ne era andato, senza dirgli della lettera, e che erano andati a cercarlo.
Derek cercò di pensare dove poteva essersi diretto Reid, ma anche a lui veniva in mente solo la madre.
“P-o-l…”
Lo sconforto.
“Sì, Rossi ed Hotch si stanno dirigendo dalla polizia, io devo controllare se ci sono stati incidenti.”
Una fitta colse Derek, forse lo scuotere la testa non era stata una buona idea, Penelope se ne accorse e lo aiutò a stendersi.
Le rivolse uno sguardo colmo di gratitudine, e lei gli sorrise… e fu così che li sorprese Kevin.

“Permesso?”
“Ciao Kevin, non mi avevi avvisato che saresti venuto.”
“Non sapevo di doverlo fare. Scusa.”
“Kevin… non ora… ti prego.”
Derek osservò lo scambio in silenzio.
Sapeva che Kevin era geloso della sua amicizia con Garcia, gelosia insensata, ma comprensibile.
I doppi sensi che si scambiavano continuamente lui e la donna avrebbero messo a dura prova chiunque, e mesi prima avevano anche condiviso una stanza anche se lui aveva dormito sul pavimento.
Ma da quel momento era diventato molto vigile nei suoi confronti.
Per un attimo non era più nella stanza con i due che si scambiavano occhiate ansiose, si rivide in Alaska mentre consolava Penelope di quello che aveva dovuto sopportare in quei giorni, vedersi morire una persona davanti, senza il filtro che di solito le forniva stare dietro agli schermi.
Forse la gelosia di Kevin non era per niente insensata, da fuori il rapporto tra lui e Penelope poteva benissimo dare da pensare.
Tornò a presente e ricambiò il saluto dell’uomo.
Che dopo i normali convenevoli di una visita in ospedale fece capire alla sua donna che le voleva parlare un attimo da solo.
Uscirono dalla stanza.

“Ho fatto la ricerca che hai chiesto, un incidente vicino Las Vegas, la polizia ha i suoi effetti personali.”
“Effetti personali? Va bene, ho capito.”
Hotch riagganciò e voltandosi verso il collega spiegò quello che Garcia gli aveva appena comunicato.
“Ha detto che nella stazione di polizia dove ci stiamo dirigendo hanno registrato la presenza di alcune cose di proprietà del dottor Spencer Reid, in seguito ad un incidente in cui è stato coinvolto un autobus.”
“E gli ospedali?”
“Ha verificato, non risulta ricoverato da nessuna parte, forse perché privo di documenti.”
“Dannazione!”
Non servivano altre parole per spiegarsi a vicenda la frustrazione all’idea che gli fosse capitato qualcosa, non bastava Derek in ospedale. Ora forse anche Reid.
Arrivarono alla centrale di polizia e fu con somma sorpresa che videro Spencer scendere da un automobile.
Non li aveva visti, stava ringraziando l’infermiera che lo aveva accompagnato fino a lì a riprendersi la tracolla.
“Sei stata molto gentile, se aspetti un attimo posso almeno pagarti i caffè che mi hai pagato prima.”
“Non è necessario, eri in difficoltà, e mi hai fatto pensare a mio marito. Ti somiglia sai, lui ora è via in missione e vorrei che se ha bisogno ci fosse qualcuno ad aiutarlo, riguardati e salutami Washington D.C., siamo stati stanziati lì per anni prima di venire ad ovest.”
“Grazie ancora, e buona fortuna.”
La donna gli sorrise, ricambiando l’augurio, e se ne andò.
Avrebbe preso un autobus per raggiungere sua madre, o noleggiato un auto, per prima cosa doveva farsi ridare le sue cose.
Si voltò nella direzione dell’ingresso e… a momenti andò a sbattere contro Hotch fermo esattamente dietro di lui.
Rossi era un paio di passi indietro.
“…Hotch… io…”

“Tu… ci devi un paio di spiegazioni, ma prima… come stai?”
Chiese l’agente notando ecchimosi e tagli sul volto del giovane.
“Non è nulla, il pullman su cui stavo si è rovesciato e… non mi ricordo con esattezza mi sono svegliato in ospedale questa mattina. Hai letto la mail?”
“Quale mail?”
Gli disse Hotch con un aria fintamente stupita.
Rossi non batté ciglio, mentre Hotch proseguiva.
“Ah dici la bozza del rapporto sui fatti della settimana scorsa che mi hai inviato per sbaglio prima di correggerla?”
“Ecco… io… una volta mi hai detto che se avessi messo in pericolo la squadra mi avresti licenziato. E io ho messo Derek in pericolo, lo ho quasi ucciso!”
“Quella volta mi riferivo ben ad altro, e spero che non sia questo il caso. Eravate in azione tu e Derek quando lo hai messo in pericolo?”
“No, ma lo ho spinto io dalle scale da cui è caduto, Hotch!”
“Volevi ucciderlo?”
“NO! È stato un dannato incidente, non mi ero accorto del pericolo della scalinata e gli ho dato uno spintone, io…”

Reid si fermò, notando come Rossi stesse sogghignando, dopo che Hotch aveva posto quella domanda assurda, poi guardò meglio il suo superiore e vide che pure lui tratteneva a stento un sorriso.
“Tu… mi stai prendendo in giro!”
“Solo un po’. Le spiegazioni ce le dovrai dare sul serio, ma sul fatto che con Derek fosse capitata una tragica fatalità in cui eri più coinvolto di quanto avessi ammesso con noi, mi era già venuto in mente, anche per una cosa che mi ha detto JJ mentre stavamo venendo qui. Andiamo a prendere le tue cose.”

I due uomini si voltarono e presero a salire i tre gradini che portavano alla porta, Reid rimase un istante ad osservarli, erano corsi lì a cercarlo.
I suoi amici.
Si guardò un attimo in giro, come stupito che ci fossero solo loro due.
Hotch e Rossi si accorsero di non averlo alle spalle.
Lo guardarono osservare in giro.
“Sono da tua madre, quando ci hanno detto che non eri da lei, noi ci siamo diretti qui. Con l’aiuto di Garcia.”
Disse Rossi.
“Da mia madre…”
“…sai com’è dovevano salvarti dalle ire del tuo superiore.”
Terminò Hotch, ridendo apertamente.

Reid non sapeva se era più sconvolto all’idea che sua madre ora si stava sicuramente preoccupando per lui, o se a sconvolgerlo fosse il fatto che in poco più di un paio di minuti aveva assistito a ben due momenti di umorismo targati Hotchner.
E Rossi sembrava stupito quanto il giovane.
Una volta passi, ma due nello stesso giorno sono da annotare sul calendario.
Istintivamente ad entrambi venne in mente di domandare al capo se stava bene, ma se lo tennero per se. Va bene che era di buonumore una volta appurato che Reid stava bene, però meglio non approfittarne.

Reid raggiunse gli uomini in cima alle scale ed entrarono nella centrale, dove riprese possesso della sua tracolla.
Poco dopo uscirono e si diressero verso la macchina che avevano preso a noleggio quel mattino, non era uno dei loro comodi suv neri, quelli erano forniti quanto erano in servizio, ora erano decisamente fuori servizio, e si erano arrangiati con gli autonoleggi.
Reid osservò per qualche istante la vettura grigia davanti a lui.
“Vi ho messi nei casini con il vicedirettore?”
“No, per quello che ne sa lei stiamo tutti a casa per qualche giorno in pausa, dopo l’incidente di Derek è la prima volta che gliene abbiamo chiesto il permesso, non ha fiatato.”
“Strano.”
“Diciamo che un nostro comune amico vi ha messo una buona parola.”
“Dice chi penso io?”
Domandò Reid voltandosi verso Rossi.
“Non saprei, preferisco non sapere i dettagli dei loschi maneggi del nostro capo.”
Rossi si riferiva al loro collega, una specie di leggenda dell’Effebiai, a cui Hotch aveva dato una mano, e che era in ottimi rapporti con la Strauss, a differenza loro.
Il capo in questione scosse piano la testa, evitando di rispondere ad entrambi.
E la tenne bassa, per non far vedere che stava di nuovo ridendo.
Si era sentito teso per tutta la giornata, e nel momento in cui si era trovato Reid malconcio, ed aveva capito che stava meglio, aveva sentito la tensione sciogliersi.
Poi sarebbero arrivati i problemi, con le spiegazioni e i chiarimenti, ma ora si godeva l’attimo di pace.

Pace.
Era la parola conclusiva del libro che stava leggendo.
Ora avrebbe dovuto metterlo via, ed affrontare di nuovo quelle donne.
L’ansia di quello che poteva essere capitato a Spencer non le aveva dato tregua un solo istante, ma il libro le aveva evitato conversazioni imbarazzanti. I libri erano il suo filtro sul mondo.
Almeno quando non c’era in ballo la vita di suo figlio.
Lei sapeva bene di essere la madre schizofrenica di un agente dell’efbiai, sapeva quanto il lavoro importasse per suo figlio.
Era stato il più giovane agente assunto all’agenzia, era stato il più giovane in un sacco di cose il suo Spencer.
Era dovuto crescere in fretta, anche a causa sua, e non solo per il Quoziente Intellettivo altissimo.
Aveva dovuto prendere decisioni dolorose da solo, senza un padre; ora pareva che solo non fosse più.
La cosa la rasserenava. Almeno in parte. Era complicato a volte, essere lei.

Alzò lo sguardo sulla donna bionda che le era vicina, quella che per prima era entrata nella stanza.

“Non dovreste chiamare gli altri e domandare loro se hanno scoperto qualcosa?”
JJ rimase stupita, credeva che non avesse nemmeno visto Hotch e Rossi che erano rimasti fuori dalla porta e si erano diretti alla polizia appena avevano capito che Spence non era lì con la madre.
Lei ed Emily avevano fatto un cenno, per non mandare troppo in ansia la donna, ma lei li aveva visti.
Il tempo di riprendersi dallo stupore per il silenzio della donna, durante l’ora che avevano passato in sua compagnia, e il telefono di JJ prese a squillare.
Poche parole, un sorriso.
E potè tranquillizzarla.

“Lo hanno trovato, sta bene, stanno venendo qui.”
Le passo il telefono.
“Spencer? Stai bene tesoro, cosa è capitato? Va bene, ne parleremo poi. Sì, sto tranquilla, ora.”
Sorrise serena.
Ora che aveva sentito la sua voce l’ansia che l’attanagliava si era disciolta, evaporata.
Adesso sì che l’ultima parola del libro aveva senso anche per lei.
E poco importava di non sapere cosa era successo, l’importante era che stesse bene.
Il resto sarebbe venuto poi. E forse nemmeno l’avrebbe riguardata.

Ridiede il telefono a JJ e andò a mettere il libro nel suo posto sulla piccola libreria.
Emily rimase a guardarla senza una parola.
Domandandosi come avesse fatto a tenersi per se i dubbi e le domande, visto che si era accorta anche degli altri.
A volte era difficile capire a cosa stesse pensando il genietto, ora sapeva da chi aveva preso.
Imperscrutabili Reid.
Guardò JJ e le due donne si scambiarono un sorriso di sollievo all’idea di stare per risolvere tutto.
Forse.

Questa voce è stata pubblicata in Criminal Minds, Quando e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento