Quando, seconda parte

Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho deciso tempo fa che dovevo far tribolare un poco alcuni soggetti… le mie prime lettrici!

Sconvolti.
Non c’era un altro termine per definire come si sentiva la squadra dopo gli ultimi avvenimenti.
L’idea che Reid avesse mentito e che ci fosse dell’altro dietro a quanto era capitato a Derek li lasciò senza parole.
Si era capito dalla reazione scomposta di Derek che non era stato un semplice incidente, ma cosa mai poteva essere capitato?
Nessuno di loro era stato presente ai fatti, cosa poteva aver fatto infuriare così tanto Derek, e quando sarebbe stato in grado di spiegare loro l’accaduto?
Ognuno di loro stava vagliando delle ipotesi, ma erano meramente campate in aria senza sapere la versione di Derek.
Reid aveva detto quel mattino che non li avrebbe accompagnati all’ospedale, ritenendo che Derek fosse ancora furioso con lui per l’accaduto, e li invitò a non difenderlo dall’ira dell’amico – lasciate che si sfoghi – aveva detto.
Entrarono negli uffici di Quantico, aspettandosi di trovarlo dietro alla sua scrivania nell’open space, ma non c’era.
Non c’era nemmeno la sua fedele tracolla marrone.
Non c’era niente di suo nell’open space.
Il suo spazio alla scrivania era svuotato, ripulito.

Hotchner lo chiamò immediatamente al cellulare per delle spiegazioni, ma ricevette l’atono messaggio di cellulare spento o non raggiungibile.
Ordinò, anzi, intimò a Penelope di scovarlo.
“Qualsiasi cosa sia successa va chiarita, non può comportarsi in questo modo!”

Penelope si infilò rapidamente nel suo ufficio pieno di schermi e di tastiere ed iniziò la ricerca del genietto di Quantico.
Non è assolutamente da Reid un comportamento del genere, cosa gli sta succedendo? Derek è il suo migliore amico!

Rossi osservò la donna al lavoro per qualche istante, ricordava bene cosa le aveva detto una volta, aveva appena rintracciato un sospetto, e collegato i complici solo grazie alle sue ricerche e gli era uscito spontaneo un “Spero di non dovermi mai nascondere da te!”
Ecco Reid si è ficcato in un bel guaio se non ha pensato alle conseguenze del suo gesto.
Andarsene senza spiegazioni.
Giovane, sarà meglio che tu abbia una buona spiegazione, l’umore del supervisore è… da graticola!

JJ andò nel suo ufficio, rimase qualche istante assorta davanti alla fotografia del figlioletto, proprio la sera prima poco prima di andarsene a casa Reid, anzi Spence, si era fermato un po’ a parlare, rimirando proprio quella fotografia.
Il ricordo si fece strada prepotente.
Spencer teneva un gomito posato sulla scrivania e con una mano si tormentava i capelli, con la mano libera girellava la fotografia di Henry sovrappensiero.
“Stanco? Dai Derek si è ripreso, vedrai andrà tutto bene.”
“Non lo so, sai era uno sguardo pieno di odio quello che mi ha lanciato, ricorda bene cosa ho fatto, è solo colpa mia se è in quel letto.”
“Vedrai che domani sarà più calmo, oggi si era appena svegliato, dagli tempo.”
“Meglio che andiate solo voi domani, così non si agiterà inutilmente vedendomi.”
“Spence…”
“Dammi retta, andrò a trovarlo quando starà meglio, e potrà farmela pagare.”
“Non fare così, non lo hai fatto apposta, gli incidenti succedono.”
“Non lo so, forse volevo davvero fargli male!”
“Spencer Reid, non dirlo nemmeno per scherzo.”
“Sai…”
“Cosa?”
“Niente, vai a casa da Henry, da un abbraccio al mio figlioccio da parte mia.”
“Potresti anche venirlo a trovare, stasera mi sa che non è il caso che resti da solo, sei troppo giù.”
“No, sto bene, davvero, ora mi passa. Devo solo riposare un po’. A domani.”

E invece era sparito.
A che domani ti stavi riferendo, Spence?

Emily si mise seduta alla sua scrivania, osservava quello spazio vuoto con mille domande che le ronzavano nella testa.
Erano andati da soli a controllare la casa del sospettato.
Avevano comunicato la loro posizione.
Poi i contatti persi fino alla chiamata di Reid dall’ospedale.
Angosciato, continuava a ripetere che era solo colpa sua.
Ma colpa sua di cosa, gli incidenti accadono… o non era stato un incidente.
Perché ora è sparito, sembra una fuga, cosa è successo in quella casa?
Reid dove sei?

Nessuna risposta dal cursore che continuava a lampeggiare sullo schermo del suo pc.

Un cursore simile lo stava osservando Hotchner, era arrivato in fondo alla mail che Reid gli aveva inviato prima di sparire.
Non credeva ai suoi occhi.
Non poteva aver scritto Reid quelle righe.
Non il Reid che conosceva da oltre sei anni, da quando facevano squadra con Gideon.
Ricordava bene il ragazzino, anche se aveva già 24 anni era difficile non prenderlo per tale, che si domandava un po’ seccato perché Gideon lo chiamava sempre dottor Reid quando lo presentava e non agente, e lui che gli aveva spiegato che voleva che la gente lo prendesse sul serio e non per un ragazzino imberbe.
Non poteva essere stato lui a scrivere quelle frasi, alcune totalmente prive di senso.
O forse il senso lo avevano, mancava giusto la versione di Derek e il puzzle sarebbe stato completo.

La sola idea di dove portava quel puzzle sembrava una pazzia.

Pazzia… era quindi arrivata?
Il tanto temuto spauracchio della genetica, quella malattia materna da cui sperava di scampare, al diavolo il calcolo statistico.
Non aveva altra spiegazione per quello che era successo.
Aveva ferito un amico.
Doveva venire a patti con quello che aveva fatto, ma come poteva farcela quando lui per primo non se ne capacitava.
Quando quella mattina aveva visto Hotch e Rossi li aveva spediti da Derek, gli altri non erano nemmeno saliti in ufficio, e mentre loro erano fuori aveva scritto quelle febbrili veloci righe ad Hotchner.
Non sapeva nemmeno se andavano bene come dimissioni, non era stato molto professionale, aveva scritto quello che sentiva esplodergli dentro, il senso di colpa lo stava distruggendo.
E c’era solo un posto dove poteva andare.
Un rifugio per un po’, solo un poco, sapeva bene che lo avrebbero trovato in fretta, ma aveva una mattinata di vantaggio, qualche ora di pace.
Ma era pace quella?
Non ci sta peggior giudice della nostra coscienza era stato scritto, mai cosa fu più vera, non c’erano posti dove nascondersi da se stessi.
E lui lo sapeva meglio di molti altri.
La sera prima tornato in ufficio, dopo quell’occhiata raggelante da parte di Derek, avrebbe voluto confidarsi con JJ, lei avrebbe capito.
Quasi sicuramente.
O almeno lo avrebbe rassicurato, già… per quello aveva taciuto.
Non voleva sentirsi dire che non era colpa sua, che era stato un momento di follia, che potevano aiutarlo.
No, non poteva confidarsi con JJ, ne con gli altri.
Aveva faticato persino a mettere giù l’accaduto davanti al monitor, senza nessuno che gli badava, non avrebbe mai potuto affrontarli a viso.
Cosa avrebbe fatto quando lo avrebbero costretto a farlo non lo sapeva, non ancora.
Voleva solo ritardare il momento, posticipare l’inevitabile confronto.
Non riusciva a pensare lucidamente, l’unico sprazzo di lucidità in quelle ore era consistito nello spegnere il cellulare, ben sapendo che trovandolo acceso Garcia lo avrebbe rintracciato appena glielo avessero chiesto, e pagare il biglietto in contanti, per non lasciare tracce con la carta di credito.
L’unica traccia che poteva aver lasciato era il prelievo fatto poche ore prima, ma l’aveva fatto vicino agli uffici, ed ora ne era ben lontano.
Appoggiò la testa indietro, facendo un profondo respiro.
In quel momento uno scoppio ed uno scossone, il pullman su cui era seduto si inclinò pericolosamente di lato, avevano forato ed erano finiti nel fossato al lato della strada e le zolle erbose stavano andando troppo velocemente nella direzione del suo finestrino.
O perlomeno quella era la sua percezione, anche se sapeva bene che stava avvenendo l’opposto, era il finestrino che stava per schiantarsi sul terreno.

Finirà dunque tutto così?
In un incidente su un pullman diretto a Las Vegas?

Las Vegas.
Gli era venuto in mente di colpo, Reid non poteva che andare da sua madre, a cercare quel conforto di cui aveva bisogno in quel momento.
Solo lei poteva aiutarlo a rimettere ordine nella babele di pensieri che si accavallavano nella mente del giovane.
Dopo che era stata accusata di complicità nell’occultamento di un omicidio su cui avevano indagato tempo prima, era stata ricoverata nella casa di cura dove era ospite da anni, incarcerarla era fuori questione, lei non aveva fatto niente di male, testimone incolpevole della vendetta di un padre, e madre angosciata che potesse accadere la stessa cosa al figlio.
Il crollo sarebbe arrivato negli anni, privando di fatto Reid dell’infanzia, anche grazie alla collaborazione o per meglio dire all’assenza del padre, che abbandonò moglie e figlio per non saper reggere al segreto che custodiva con la moglie.
Ed il piccolo Spencer pagò il prezzo della debolezza del padre, se il detto le colpe dei padri ricadono sui figli ha un senso, nella famiglia Reid era questo.
Non dovevano cercarlo, sapevano già dove si era diretto, lo disse al resto della squadra, Penelope disse che il suo nome non appariva in nessun volo diretto là.
Stava proprio scappando da loro, non aveva preso l’aereo per lasciare meno tracce possibile, ma come poteva pensare che non avrebbero capito.
Dette voce al suo pensiero.
Ed ebbe la risposta che sperava di non sentire.
“Vuole che lo troviamo, non sta scappando da noi, ma da se stesso.”
“Lo so, è questo che mi spaventa, più di quello che forse è successo a Derek.”
“Ma cosa è successo? Alla fine sappiamo solo che hanno catturato il soggetto ignoto, ormai ben poco ignoto. Che Derek è rimasto ferito, cosa sconvolge tanto Reid?”
Hotch prese un foglio e lo passò a chi stava alla sua destra, che terminato di leggere lo dava al collega a fianco.
Era lo stampato della mail di Reid.
Vide lo stupore sui volti dei colleghi, si domandò se anche lui alla prima lettura non avesse trattenuto lo sconcerto per quelle righe.
No, non lo aveva fatto, ma non c’erano stati testimoni.

La prima a riprendersi fu JJ.
“Ma siamo sicuri che lo ha scritto Reid, voglio dire…”
“Non sembra proprio farina del suo sacco, è un delirio!”
“Non ci credo, non può averlo fatto.”
“Io invece temo di sì. Ha semplicemente avuto un crollo nervoso, sappiamo quante poche ore di sonno aveva accumulato in questi mesi, sappiamo quanto è stato sotto pressione, solo non vi abbiamo dato peso, perché lui è Reid.”
“Semplicemente? Ti sembra una cosa semplice questa…è una follia.”
“La follia lo spaventava a morte, per via della madre…”

L’ultima frase era stata di Garcia, che ancora ricordava come una volta il genietto di Quantico, come lei lo chiamava, le avesse confidato che c’era una componente genetica nella schizofrenia. Vi aveva letto tutta l’angoscia di un figlio che spera che le statistiche negative non lo riguardassero.
Quelle righe scomposte mettevano veramente paura.
Ma continuava a ripetersi che non dormiva che poche ore da almeno una settimana, da quando Derek era stato ricoverato, e forse aveva solo bisogno di riposare per trovare lucidità.
Non poteva e non voleva credere che fosse impazzito.
Nessuno di loro era disposto ad arrendersi, non volevano perderlo.

Il foglio stava al centro del tavolo, a debita distanza da ognuno di loro, come se cercassero di non vederlo, ma le parole scritte la sopra martellavano nella loro mente una dopo l’altra.

Colpa era la più ricorrente.

“Cosa farai?”
Era stato Rossi a parlare, dopo alcuni minuti di totoale silenzio, rivolto ad Hotchner.
“Per prima cosa voglio vederci chiaro, questa è una cosa che resta all’interno della squadra fino a che non sapremo i dettagli, da entrambi, di cosa è accaduto.
Dobbiamo andare da Reid, prima che si cacci in guai peggiori nelle condizioni di stress in cui evidentemente si trova.”
“Meglio levarla di torno allora.”
Disse l’agente anziano ficcando quel foglio malefico nel tritadocumenti, tra gli sguardi di approvazione di tutti i presenti.
“Sì, per ora è meglio così. Andiamo a Las Vegas, purtroppo dovremmo usare i mezzi tradizionali, non credo di poter spiegare l’utilizzo del jet senza un caso in corso in quella zona.”
“E il fiato della Strauss sul collo è l’ultima cosa che ci serve.”
“A lei penso io.”
Disse JJ battagliera.
Hotch abbozzò un sorriso stanco e tirato.
“Il problema verrà dopo, quello che scopriremo potrebbe non piacerci, dobbiamo esserne preparati.”
“Mi rifiuto di crederci fino a che non saranno tutti e due davanti a me a dirmi cosa è capitato!”
Replicò l’altrettanto combattiva Penelope.
“Concordo, mi rifiuto di pensare il peggio di Reid, nonostante quello che ha scritto lui stesso, evidentemente non era in se quando ha scritto quella mail.”
Emily non era stata da meno.

Rossi si volse verso Hotch e con un occhiata gli fece intendere che davanti a tre donne così decise non aveva nessuna intenzione di continuare ad insistere sul fatto che Reid poteva aver sbroccato, ci teneva alla pelle lui.
“Probabilmente hanno ragione.”
Hotch ricambiò lo sguardo.
“Me lo auguro.”

Dai rottami dell’autobus chi non era ferito avevano aiutato gli altri ad uscire dalle lamiere.
Per fortuna non si era incendiato, e non c’erano state vittime, solo feriti lievi.
Uno dei contusi era Reid.
Era seduto insieme agli altri a bordo della strada quando un paramedico lo fece accomodare su di una barella e poi su un ambulanza.
In stato confusionale non si accorse nemmeno che la sua tracolla era rimasta sul pullman, con i documenti, la pistola l’aveva lasciata a Quantico.
Perse conoscenza mentre lo portavano all’ospedale, e per la prima volta da quasi una settimana il suo cervello conobbe un po’ di riposo, forzato.

Forzato, si sentiva come un condannato ai lavoro forzati.
Quella era la sensazione mentre faceva fisioterapia.
Era passato il logopedista per aiutarlo a capire come mai non riusciva a parlare, gli aveva detto che con degli esercizi avrebbe ripreso normalmente a dialogare con il prossimo, ma non doveva avere fretta, come per le mani, il loro controllo pareva ancora sfuggirgli.
D’accordo era passato un solo giorno da quando aveva iniziato gli esercizi, ma lui con la pazienza e la calma aveva un contenzioso aperto e poi non se la poteva prendere calma.
Non capiva quello che stava succedendo.
Ora forse un minimo di libertà da quella prigione in cui il suo cervello lo aveva rinchiuso.
Garcia gli aveva portato il portatile, se fosse riuscito a farsi obbedire almeno un minimo dalle dita, avrebbe digitato quello che sentiva l’impellenza di chiedere e dire.
Ma le dita collaboravano a fatica, e persino le lettere sulla tastiera parevano sgorbi sconosciuti delle volte.
Tutto ciò era snervante.
La sua mente recepiva tutto, analizzava le stranezze che vedeva, i sorrisi tirati di Penelope e l’assenza degli altri, la sua voce che si abbassava al telefono, allontanandosi per non farlo sentire.
Era tentato di scagliare a terra il portatile, per avere la sua attenzione, ma il cervello gli funzionava ancora abbastanza per fargli intendere che se le disintegrava il portatile la prossima cosa ad essere polverizzata sarebbe stato lui.
Meglio trattenersi.
E digitare faticosamente una dopo l’altra le lettere.

xcosa sai, io mon do più cosa ticotdo e cosaa ho innaginato menyre ero in xoma, eid perché se ne è andato con aria colpevole, cosa è succesfdo?

Due sole righe e stava sudando.
Le mani gli tremavano per lo sforzo.
Era terrorizzato all’idea che quello fosse il suo futuro, dicevano di no, che era un blocco temporaneo, ma non sapeva se poteva crederci o se volevano solo che si aggrappasse alla speranza di non essere rimasto invalido permanentemente.
Spinse via il carrellino dove era posato il portatile, stando però attento a non esagerare.
Si afferrò le mani stringendo forte le dita incrociandole.
Ecco quello riusciva a farlo.
Per il resto si sentiva totalmente impotente.

Penelope, era uscita un secondo per non stargli addosso immaginando che lo snervasse sentirsi osservato, entrò nella stanza mentre stava strizzandosi le dita con rabbia,
“Derek, no! Ti prego, ti farai male.”
Corse a separare quel groviglio di dita, lo vide piangere ed ingoio le sue di lacrime, non se le poteva permettere, doveva essere forte per il suo amico, aveva bisogno di lei.
Gli terse la fronte dal sudore e passo anche ad asciugargli il resto del volto, senza aggiungere una parola, buttò uno sguardo al video e tradotta la richiesta tra gli errori di digitazione, prese a raccontargli cosa sapeva.

“L’ultimo caso che ricordi con precisione?”
Fece l’elenco dei loro ultimi casi i dettagli salienti, quando ricordava ancora bene faceva un segno affermativo, ma l’ultimo era nebbia totale.
Prese a spiegargli.

Avevano dovuto dividere la squadra, c’erano due piste probabili, e forse anche un complice.
Lei coadiuvava la squadra da Quantico, Hotchner era con Prentiss a verificare la prima pista, JJ era con Rossi a controllare quella che dava più noia dal punto di vista dei media, che ignoravano del complice, quello di cui si stavano occupando lui e Reid.
Ad un certo punto avevano perso i collegamenti, c’era stato un black out dei ripetitori a Washington, e lei aveva dovuto aspettare che trovassero modo di mettersi in contatto per vie tradizionali, i cari vecchi telefoni a filo.
Poche ore, ma per molti fu il caos, per fortuna anche per il soggetto ignoto e il suo complice, che finirono nella rete , catturati proprio da Derek e Reid, ma quando fu tutto finito e tornarono i contatti loro due erano introvabili, almeno per mezza giornata, poi rintracciarono Reid, era in ospedale ci aveva portato Derek.
Non sapevano cosa fosse accaduto, ma lui era gravemente ferito alla testa, aveva un piede rotto e svariate ustioni di media entità alle gambe.
Reid continuava a ripetere che era stata tutta colpa sua.
E non avrebbe mai mollato il suo capezzale, continuando a supplicarlo di mettersi a prenderlo in giro.

“Fine del riassunto, ti ricorda qualcosa?”

Un cenno di diniego fu la sola risposta.
Lui ricordava giorni e giorni di torture, ma se era rimasto in coma una settimana forse la cosa si spiegava.
Specialmente se Reid gli dava il tormento per farlo svegliare.
Era stato un sogno, era successo un incidente, di cui Reid si addossava la colpa, Dio sapeva perché.
Era stato un incidente, tutto si spiegava.
Reid non lo aveva torturato.

Il sollievo era tale che non si domandò la ragione di quell’esagerato senso di colpa, non gli interessava, era troppo contento che i suoi ricordi fossero solo incubi.
Penelope notò il cambiamento nell’espressione di Derek, forse non ricordava, ma di certo non era più furibondo con Reid, qualsiasi cosa avesse fatto non doveva essere grave.

Le cose si sarebbero aggiustate.

“Aggiustate, può stare tranquillo sono tutte integre le sue ossa.”
Con quella frase un medico del pronto soccorso dei sobborghi di LasVegas lo aveva dimesso.
Sperava che la sua conoscenza medica fosse migliore di quella della lingua, ma si sentiva quasi bene, quindi era ottimista sulla diagnosi, sperando gli avessero fatto delle lastre mentre dormiva e non si fossero affidati alla mera osservazione.
Aveva dormito come un sasso tutta la notte, e nessuno lo aveva disturbato.
Una volta sveglio l’amara sorpresa, niente documenti, niente soldi, niente cellulare.
Poco male, si disse che avrebbe solo dovuto trovare un telefono e chiamare…
…i fatti degli ultimi due giorni gli piombarono addosso mentre accendeva il cervello, al secondo caffè offerto da una delle infermiere presenti in pronto soccorso, aveva staccato dal turno e si era intenerita a vedere quel giovane un po’ trasandato con l’aria di non sapere dove stava e come ci era finito.
Chi posso chiamare? Ho rotto i ponti con tutti.
Sono solo.

Per la prima volta da una settimana vedeva con nitidezza cosa aveva combinato la settimana precedente.
Come se stesse osservando tutto dall’alto, uno dopo l’altro gli avvenimenti che lo avevano portato a quel punto si dipanarono davanti a lui.
Mentre in tutta la settimana, con la preoccupazione per la vita di Derek aveva guardato solo il presente, atterrito dal futuro, ora dava uno sguardo al passato.
Era ad un passo dalla dissociazione, ma stavolta a differenza del giorno prima non ne era spaventato, aveva capito che si era fatto travolgere e non aveva ragionato lucidamente, non stava impazzendo era solo troppo stanco.
Troppo concentrato sul qui ed ora per capire il prima e il poi.

Prima.

Lui e Derek avevano appena consegnato ai poliziotti di Albuquerque i due pericolosi serial killer che avevano inseguito per tre stati, i contatti con Garcia non erano ancora stati ripristinati, ma avevano sentito David ed erano d’accordo che ognuno sarebbe rientrato con i suoi mezzi, riunione il mattino seguente a Quantico per stendere i rapporti, Hotchner per una volta aveva concesso mezza giornata di pausa, più per le distanze reciproche che per reale desiderio.
Derek lo aveva convinto a starsene a zonzo per una sera, avrebbero preso il volo all’alba e sarebbero stati a Washington in tempo per fare rapporto.
Era indeciso, ma l’amico aveva fatto un paio di battute sul fatto che non si godeva la vita e non gliela voleva dare vinta.
Maledizione, avessi dato retta al mio lato petulante e preciso tutto questo non sarebbe accaduto.
Promemoria, non dare mai più retta a Derek… se me ne darà l’occasione.

Ovviamente per prendersi pausa dovevano essere irreperibili, e visto che il capo ha detto pausa non ci sta niente di male a spegnere i telefoni.
E così andarono a zonzo in quel del Nuovo Messico, niente follie particolari, mezza giornata libera passata a non pensare.
Almeno per Derek, lui continuava a stressarsi ed a stressare con quello che forse potevano fare se rientravano prima.
Ad un certo punto Derek non potendone più lo aveva preso a male parole, niente di che lo prendeva spesso in giro per il suo carattere strano.
Ma qualcosa gli fece saltare i nervi.
Un riferimento involontario a disturbi mentali, che a Morgan non sarebbe mai uscito se avesse pensato a cosa stava dicendo, ma era parecchio su di giri e a volte le parole escono prima che si abbia il tempo di pensarle, specie se si ha bevuto, e Reid si tramutò in una furia.
Una furia che contro un colosso della stazza di Derek Morgan avrebbe avuto l’effetto di una tempesta in un bicchiere d’acqua, un po’ d’acqua sul piano d’appoggio si asciuga e via.

Ma gli imprevisti a volte ci mettono lo zampino e proprio nel momento in cui Reid lo colpiva, Derek stava spostando il peso da un piede all’altro, già malfermo per la sbronza che si era preso, venne colto di sorpresa dalla reazione scomposta di Reid, erano nei pressi di una scalinata, Spencer senza rendersi pienamente conto di quello che stava accadendo vide l’amico rovinare giù.
Sì sentì nitidamente il crak di un osso spezzato, forse più di uno.
In fondo alla scalinata c’era uno di quei baracchini di hot dog, il baracchino rovescio addosso alle gambe di Derek parte del contenuto.
Quello che si sarebbe dovuto risolvere con una risata da parte di Derek mentre respingeva il colpo di Reid, a cui era scemata di botto tutta la furia, stava diventando una tragedia, mentre il sangue formava una pozza a lato della testa di Derek.

Ricordava di aver gridato, chiamato i soccorsi, tamponato la ferita alla testa, preso dell’acqua per spegnere le ustioni.
Al pronto soccorso, richiesto anzi ordinato, le lezioni involontarie di Hotch erano state apprese per semplice osmosi, che gli fossero fatte TAC e elettroencefalogrammi.
Poi i contatti con gli altri, lui che non riusciva a spiegare coerentemente l’accaduto, loro che sapevano solo che c’era stato un incidente, e lui che non ce la faceva a spiegare che dalla scalinata ce lo aveva spinto lui e non era caduto da solo per la sbronza.

I giorni passati al suo capezzale, accorgersi di quando l’antidolorifico smetteva di fare effetto e ordinare che gliene dessero ancora, pretendere di essere presente ad uno degli elettroencefalogrammi per vedere le reazioni nervose quando gli parlava.
Lo scoramento all’idea che poteva non svegliarsi mai più.
Penelope che lo sgridava di farsi sentire da Derek a dire certe cose, Hotch che gli ordina di reagire e Derek che dopo una settimana in cui rispondeva solo agli stimoli dolorosi, facendo presagire il peggio, reagisce, serrà i pugni, stringe la mascella e non è una questione nervosa, è una reazione alle parole di Hotch.
Il risveglio, l’afasia e quello sguardo.
Di odio.

Lo avrebbe affrontato, ora era lucido, aveva riposato.
Era stato un incidente.
Un maledetto, stupido incidente.
Davide aveva atterrato Golia, ma senza volerlo.
Ed ora forse lo avrebbe aiutato a rialzarsi.
Se glielo avesse permesso.

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