Sotto protezione, quarta parte

Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.

Il capo
Derek tornò al presente, guardò fisso Rossi e si disse che se c’era qualcosa che lui ed Hotch gli volevano tenere nascosto li avrebbe messi alle strette, non poteva essere il capo se non era a conoscenza di tutti i dettagli.
Ma avrebbe aspettato di essere da solo con Rossi per fargli domande, voleva evitare di fare la figura del paranoico davanti a tutti gli altri.

Rossi intercettò il suo sguardo e si chiese cosa stesse rimuginando il collega, anzi… il suo capo.

Doveva abituarsi all’idea di Derk Morgan come superiore, era qualcosa a cui non aveva mai dedicato troppi pensieri, quando lui era rientrato al BAU un paio di anni prima sapeva che Hotch era il capo e mai lo avrebbe messo in discussione, aveva le sue questioni in sospeso.
All’inizio erano stati scontri, sul metodo, quando l’unità era stata fondata il lavoro lo svolgevano con altre metodologie, ognuno per se, ma con il tempo aveva imparato a fare lavoro di squadra, con questa squadra e non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.

Se questo voleva dire accettare Derek come capo, poteva farcela, ma chissà se lui avrebbe retto alla tensione, ben presto sarebbe stato messo alla prova e certe libertà che si poteva prendere come agente avrebbe dovuto scordarsele con il nuovo ruolo.
E una di quelle libertà era lì tra le sue braccia a singhiozzare disperata per la presunta morte di un bambino e della sua mamma, le avrebbe saputo mentire?

Presto lo avrebbero scoperto.

“Derek andiamo nel tuo ufficio, Hotch lo ha sgomberato e devi prenderne possesso, quando il vicedirettore Strauss passerà domani mattina tu devi essere insediato”.

“Non credi che il vicedirettore potrebbe avere un po’ di pietà per quello che sta succedendo?”

“Allora ho parlato al vento prima? Non si deve sapere che è successo qualcosa”.

“Prendo le mie cose”.

Forse deve dirmi qualcosa e non vuole farlo davanti agli altri, allora ho visto giusto.

Penelope si scusò per il suo crollo, ognuno di loro cerco di rincuorarla e mentre Dave e Derek salivano all’ufficio si voltarono un attimo a guardarli, tutti per uno uno per tutti.
JJ aveva una mano sulla spalla di Penelope, Emily le teneva una mano tra le sue, Reid si reggeva sulle stampelle ad un passo dalle tre donne.

Arrivati all’ufficio Rossi fece entrare prima Derek, poi chiuse la porta dietro di se e si voltò pronto ad affrontarlo.

“Sai che quello che ti sto per dire loro non lo potranno sapere fino a che tutto non sia finito!”

“Sono profiler come te e me, avranno capito che sta succedendo altro, come pensi di tenerglielo nascosto?”

“Mentiremo”.

Derek guardò il collega e si chiese se fosse impazzito, una delle regole per la squadra era di non avere segreti gli uni per gli altri, almeno per quello che riguardava il lavoro, era una delle regole di Hotch.

Ma stavolta era diverso, stavolta era lui la vittima.
E forse è per questo che mi ha passato il comando…


I Segreti

Dave riaprì le veneziane, fece segno a Derek di sedersi sul divanetto dello studio, lì non erano visibili dall’esterno, e prese posto su una sedia di fronte a lui.
Derek fece quanto gli era stato indicato e mentre osservava il collega pensava che gli sembrava di essere tornato indietro, a quando Rossi era appena rientrato nell’Unità e metteva in discussione il metodo con cui si lavorava: In gruppo.

Hotch deve avere delle ottime ragioni per agire in questo senso, non voglio credere che sia sconvolto a tal punto da Foyet da rinnegare le sue stesse regole.

Mentre i due si confrontavano in ufficio, Aaron era alle prese proprio con quelle regole.
La squadra era per lui come una famiglia e l’idea di mentire lo ripugnava, ma non c’erano alternative.
Rivisse quello che era capitato nell’ufficio poche ore prima.

Sam era entrato chiudendosi la porta alle spalle, lui si era subito alzando preoccupato per Haley e Jake, ma il collega lo aveva rassicurato.
“Loro stanno bene, ma dobbiamo far credere il contrario, se Foyet riceve informazioni dall’interno è il solo modo di scoprirlo”.
“Ma come?”
“Intanto dovresti cacciarmi fuori in malo modo, ti ho appena comunicato che sono dispersi sulle Montagne Rocciose, dovresti essere infuriato con me”.

Aaron si coprì il volto con le braccia per poter pensare e parlare senza essere visto.
“Non la mia squadra, mi fido ciecamente di ognuno di loro!”
“Nemmeno io penso ad uno di loro, ma non sono attori e senza un minimo di preavviso la loro reazione sarà più convincente, l’informatore deve credere nel loro dolore, quando verranno informati della notizia”.

Aaron serrò ancora più forte i gomiti davanti al volto.
“Non posso far loro questo!”
“Devi! Se può aiutarti a cacciarmi fuori a pedate, con convinzione, sappi che per un paio di minuti sono stati sul serio in pericolo, la tempesta era peggiore di come immaginavamo”.

Le certezze di Aaron vacillarono all’idea del rischio corso dai suoi cari, scattò in avanti e spinse l’uomo fuori dal suo ufficio gridandogli contro, con la coda dell’occhio vide David uscire dal suo, prima che l’amico gli facesse anche solo una domanda sbattè la porta e lo fissò mentre chiudeva le veneziane, aveva bisogno di tempo.

Sapeva che Sam si sbagliava, i suoi avrebbero saputo fingere senza farsi scoprire, ma non c’era il tempo di avvertirli e indire una riunione sarebbe parso strano e la talpa avrebbe mangiato l’intero albero, non solo una foglia.
L’idea di farli stare male lo faceva sentire un verme.

Ma erano Haley e Jake, la sua famiglia, se per salvare l’una doveva sacrificare l’affetto e la fiducia dell’altra lo avrebbe fatto.
Non sapeva ancora come, ma aveva preso una decisione e non sarebbe tornato indietro.
Catturare Foyet e l’eventuale complice era la sua priorità, ora era Derek il capo, degli altri casi si sarebbe occupato lui.
Sentì bussare, la voce di Dave che lo chiamava, gli disse di entrare.
Uno sguardo e capì che al collega i conti non tornavano.

“Non sono veramente dispersi vero?”
“Sono al sicuro, ma ho bisogno che nessun’altro lo sappia, con Sam abbiamo studiato un piano, sospettiamo che nel nostro ufficio ci sia qualcuno che è in contatto con Foyet, deve credere che li stiamo cercando, l’idea di Sam è di dare delle indicazioni su un luogo ed attirare là Foyet o il complice”.
“Ma noi sappiamo che Foyet agisce da solo”.
“Quando uccide agisce da solo, qualcuno che gli da una mano deve esserci o certe cose non si spiegano!”
“E come avrebbe fatto questo fantomatico informatore a sfuggirci?”
“Qualcuno a cui non badiamo troppo, un impiegato che fa solo avanti ed indietro per gli uffici, senza mai essere operativo sul campo, un fattorino, magari qualcuno delle pulizie”.
“Lo sai che…”
“… rasento la paranoia, sì lo so, ma non posso aspettare la prossima mossa di Foyet”.

“Quando ti sei messo d’accordo con Sam?”
“Abbiamo parlato dell’ipotesi di una talpa qualche giorno fa, ha detto che avrebbe studiato qualcosa per poter mettere al sicuro Haley e Jake con delle false indicazioni, ma non mi ha spiegato cosa intendeva fare, a dirla tutta non lo ha nemmeno fatto ora, so solo che nessuno deve sapere che loro stanno bene”.
“A Derek dovrai dirlo, come farà a dirigere la squadra se non conosce le tue intenzioni”.
“Se ora lo faccio salire, e l’informatore è ancora in giro, inizierà a sospettare qualcosa, parlo ad uno alla volta in privato? È sospetto”.

“Hai ragione, tu esci e vai a casa, io li tratterrò qui dentro e parlerò con Derek da soli, con la scusa che deve insediarsi nell’ufficio”.
“Mi sento una merda a mentire in questo modo, su una cosa del genere!”
“Hotch, saprebbero fingere, ma un sospiro di sollievo lo avrebbero anche inconsciamente e come hai detto prima l’informatore lo noterebbe, meno gente sa meglio è, ti perdoneranno una volta che Haley e Jake saranno sani e salvi. E tu perdonerai te stesso nel momento in cui potrai riabbracciare tuo figlio”.

“Spero tu abbia ragione, vorrei avere le tue certezze”.
“Le hai, si sono solo prese una pausa, torneranno.
Ora andiamo o i ragazzi manderanno una squadra SWAT a stanarci, fila via senza voltarti nella loro direzione, ci penso io”.
Aaron rivolse all’amico un sorriso grato, per aver tentato di stemperare la tensione del momento.

Dave terminò il resoconto a Derek .
Che era rimasto letteralmente senza parole.
Sollievo per sapere che Haley e il piccolo stavano bene, rabbia per essere stato ingannato, ansia per la decisione presa da Hotch.
Le emozioni si susseguirono sul suo volto, ora avrebbe dovuto affrontare le lacrime di Penelope senza poterla consolare, anzi se le avesse intuito qualcosa avrebbe dovuto ingannarla una volta di più, lo sguardo smarrito di JJ, che pensava al suo bambino e si sentiva male due volte come amica e come madre, la compostezza di Emily che era stata capace di tentare di consolare entrambe, il silenzio di Reid, legato ad Hotch come un figlio con il padre.

Ora capiva la fuga in ascensore di Hotch, non poteva affrontarli, non subito e non tutti insieme.

Uscirono dall’ufficio e Derek invitò i suoi colleghi ad andare a casa a riposarsi, la mattinata seguente sarebbe stata dura ed era già piuttosto tardi.
Li vide uscire mesti dall’open space e sentì per la prima volta il peso della responsabilità degli uomini sotto il suo comando, dover aspettare per informarli era sbagliato, ma necessario.
Rossi gli disse qualcosa sul fatto che anche ad Hotch capitavano giornate in cui non avrebbe voluto essere il supervisore dell’unità; Derek avrebbe voluto gridargli di stare zitto, ma non poteva non era con lui che era arrabbiato.

Prima di oggi, sarà mai accaduto ad Hotch di avere voglia di gridare? Non sarò mai alla sua altezza.

Doveva aver detto l’ultima parte della frase ad alta voce, perché Dave gli rispose:
“Se ha scelto te è perché ti riteneva in grado di svolgere l’incarico, sarà anche un po’ in crisi, ma sa ancora valutare il prossimo”.

“Lo so è che…”
Si interruppe senza saper bene cosa voleva dire.
Dave gli strinse una spalla e gli indicò l’uscita.
“Se andassimo a riposare pure noi altri?”
“Ottima idea”.

Sicurezze
Stava spuntando l’alba, la notte era stata occupata quasi per intero da incubi, erano sull’aereo e si avvicinavano sempre più alla montagna, senza virare.
Al secondo risveglio carico d’ansia aveva deciso che ne aveva avuto a sufficienza, alzandosi e preparandosi un caffè aveva lasciato la mente libera di vagare nei ricordi.
Perché continuava a sognare la loro morte?
Sam era stato rassicurante.
Erano al sicuro e lo erano stati anche in volo.
Ricordò quei momenti.

Alcuni giorni prima…

Sam le stava spiegando cosa sarebbe successo nelle prossime ore.
“Dovremo evitare i radar della torre di controllo, per cui ci avvicineremo alla montagna durante il volo, ma stia tranquilla il pilota è in gamba, ci porterà in una pista sicura”.
“Ma ci cercheranno!”
“No, eviteremo che si sprechino risorse per chi dovesse aver bisogno sul serio delle squadre di ricerca, diremo che la cosa è sotto tutela dell’FBI, il che poi è la verità”.
“Ed Aaron?”
“Lo avviserò a cose fatte, l’idea di nascondervi dandovi per dispersi me l’hanno data dei recenti avvenimenti, e il nostro pilota ha messo a punto il piano”.
“È un agente anche lui, vero?”
“Sì”.
“Quindi i suoi familiari non sapranno niente fino a missione conclusa? Lo crederanno morto o ferito?”
“Purtroppo sì, se non fosse che il piano l’ho studiato con Aaron persino lui ne sarebbe all’oscuro”.
“Fate un lavoro orrendo… mi scusi!”
Sam le sorrise, per niente ferito od offeso dall’affermazione della donna.
“Non si scusi, è spesso così”.
Quante volte sarà capitato ad Aaron di non potermi rivelare qualcosa?
Con quella domanda inespressa colse con gratitudine il sorriso dell’uomo.

Raccolse alcuni giocattoli che Jake aveva lasciato in giro e terminò le loro valigie.
Andarono al piccolo aeroporto e, nonostante stesse iniziando a piovere, partirono in direzione delle montagne.
Gli scossoni si susseguirono nel corso del volo, il pilota prese a scendere dopo aver lanciato un segnale di soccorso e lei soffocò un grido vedendo la montagna andare loro incontro, ma Sam era calmo e tranquillo, così lei si limitò a stringere a se il suo bambino che vedendo loro tranquilli stava prendendo la cosa come un giro sulle montagne russe.
“È normale ballare un poco, non si preoccupi, questo pilota ha affrontato fortunali peggiori. Presto saremo al sicuro”.
“Mamma, guarda laggiù, un orso!”
Infatti sotto di loro un grosso grizzly stava smovendo un albero, forse per far cadere un favo di api e cibarsi del miele, lo videro solo per pochi secondi, ma Jake lo aveva notato subito.
Ne avevano visto un documentario pochi giorni prima e ne era rimasto affascinato.
Quelli pescavano salmoni in Canada, ma erano dettagli che al bambino non interessavano, era il fatto di averne visto uno dal vivo e non allo zoo che lo aveva colpito.
“L’ho visto, era proprio grande”.
Era molto orgogliosa del suo ometto, e sapeva che anche Aaron lo sarebbe stato se lo avesse visto.
Poi lo vide farsi speranzoso e le si strinse il cuore sapendo cosa stava per chiederle.

“Stiamo tornando da papà?”
“Non ancora, tesoro… non ancora”.
Per quanto Jake non fosse abituato a vedere spesso il padre, non era mai stato un intero mese senza che Aaron passasse a stare un poco con lui, nemmeno una settimana.
Per quanto a volte non fossero che pochi minuti, per Jake erano tutto.
Sam cerco di distrarre il piccolo indicandogli una cosa che si vedeva ora sotto di loro.
“Guarda Jake, quello è un Geyser, sai si chiama come me, Sam… il vecchio fedele Sam”.
“Perché vecchio fedele?”
“Oh perché emetteva un getto di vapore ogni 56 minuti, fino a un po’ di anni fa. Poi dopo un terremoto divenne un po’ meno preciso, ma guarda il getto c’è ancora.”
Il bambino parve soppesare le parole di Sam.
“Quando passerà il nostro di terremoto potrò rivedere papà?”
Sam guardò Haley sconsolato, il suo tentativo era miseramente fallito.
Lei gli sorrise per il tentativo.
Poi guardò il suo bambino e gli disse, cercando di mettere più sicurezza possibile nella propria voce.
“Sì, quando sarà tutto passato lo rivedrai”.

Tornò al presente, guardò il suo piccolo che dormiva sereno, certo che presto avrebbe rivisto il suo papà e a lei non restava che sperare che la sua promessa potesse essere mantenuta alla svelta.
E non solo per tornare alla propria vita.
C’erano delle cose che voleva chiarire, c’erano delle questioni rimaste in sospeso tra lei ed Aaron e la sua risposta alla sua lettera le aveva fatto capire che era così anche per lui.

Ciao
Anche voi mi mancate, non sai quanto.
Mi mancano persino le nostre liti sul mio lavoro, quello che avrei dovuto lasciare quando me lo hai chiesto.
Ho messo il lavoro davanti alla famiglia, mio fratello una volta me lo aveva detto che passavo troppo tempo in ufficio, che stavo diventando come nostro padre, ma io non gli ho dato retta e ti ho persa.
Non si può tornare indietro e il mio lavoro era la cosa che mi rimaneva dopo il divorzio, ma ora… non so nemmeno se sarò in grado di farlo ancora, il tarlo di quello che ci sta facendo quel verme è una cosa che non mi da tregua.
Non potrò mai perdonarmi, mai.
Vi voglio bene, Aaron.

Sapeva che non si stava parlando di una riconciliazione, troppe cose erano state dette e fatte.
Le spiaceva che lui non si perdonasse, ma non poteva impedirgli di starci male, glielo aveva scritto che non aveva niente da farsi perdonare, ma forse avrebbe potuto farlo solo dopo che tutto fosse stato alle loro spalle.

Un ricordo.
Un incubo da dimenticare.

Perché era sicura di una cosa, Aaron lo avrebbe preso, quella era una delle poche sicurezze che aveva.
E se la sarebbe tenuta stretta.

L’ufficio

Derek era entrato per primo in sede quel mattino, appena aveva visto Hotch varcare la soglia e dirigersi verso quella che era la sua scrivania nell’open space lo fermò.
“Non ho portato le mie cose di sopra, voglio che quello resti il tuo ufficio”.
“Derek non puoi, devi avere un minimo di privacy”.
“No, quello è il tuo ufficio e non intendo discuterne, se alla Strauss non sta bene sarà lei ad avere un problema, non io”.
Aaron fissò il collega per alcuni secondi, poi con un grazie appena udibile salì di sopra e vide che Derek aveva già rimesso le cose che lui aveva ritirato in un paio di scatole al loro posto sulle mensole e sulla scrivania.
Guardò nella sua direzione, ma Derek gli dava la schiena; stava sistemando le cartelle di alcuni rapporti su un tavolo a pochi metri dal centro dell’open space, avrebbe ricevuto lì il vice direttore Strauss.

JJ arrivo pochi istanti dopo e si diresse da Hotch come da abitudine, poi le venne in mente che ora il caposquadra era Derek e tornò sui suoi passi.
Si rivolse all’uomo che aveva notato la sua esitazione.
“Scusa, la forza dell’abitudine!”
“Non preoccuparti.”
“Derek, sai se… sai se gli hanno fatto sapere qualcosa?”
“No, non gli ho chiesto niente, immagino che ne parlerebbe se potesse”.
“Mi domando come faccia a venire a lavorare…”
“Credo sia per pensare anche ad altro”.
“Io non ci riuscirei, ma Hotch non è me”.

Derek fissò la giovane donna davanti a lui, se ingannava lei forse ce la poteva fare anche con gli altri.
Forse.
Si misero a studiare i rapporti che lei aveva selezionato la sera prima, ora dovevano scegliere un caso, ce ne era uno particolarmente efferato, su cui la polizia locale non aveva indizi.
Mentre degli altri qualche pista da seguire ce l’avevano, quindi erano propensi a seguire quello, dove potevano essere più utili.

Arrivarono anche gli altri, Derek tenne la riunione con il vicedirettore, Aaron tornò a chiedere che prenderessero il suo ufficio, Derek fu irremovibile e chiese che le sue decisioni fossero rispettate.
JJ disse qualcosa a Penelope, che le sorrise e si diresse ai suoi computer.
Mentre la squadra era fuori ad occuparsi del caso Penelope sistemò un paio di cose con un dipendente prossimo alla pensione, ed al suo rientro Derek ebbe un ufficio tutto per lui.

In quelle due giornate nessuno fece domande ad Aaron, sapendo che era in contatto con le squadre di ricerca, e non volendo pensare al peggio.
Penelope un pomeriggio chiamò Derek nel suo ufficio, voleva usare i satelliti per vedere se riusciva a rintracciare il punto esatto dell’impatto, ma se serviva il posto da dove erano partiti e dove erano diretti per farlo.
“Non farlo Garcia”.
“Cosa? Ma sono Haley e Jake, non possiamo stare ad aspettare!”
“Non credi che Hotch te lo avrebbe già chiesto se pensasse che potresti aiutarli a trovarli?”
“Forse è troppo sconvolto, ma noi siamo qui per aiutarlo”.
“Non intrometterti, gli sceriffi federali si stanno occupando della cosa e…”
“…MA è QUESTO IL PUNTO” La donna aveva gridato, ma quando se ne rese conto abbassò la voce.
“Non se ne stanno occupando, capisci? Non ci sono squadre di ricerca, non sulle Montagne Rocciose almeno, cosa stanno facendo?”
“Garcia, stanno facendo il loro dovere, e la cosa non si deve sapere, non ci sono rapporti ufficiali, non fino alla conclusione della cosa!”
“Derek Morgan… se mi stai nascondendo qualcosa…”
“Ci sono un sacco di cose di me che ti nascondo, piccola!”
Aveva cercato di mettere un intonazione ironica nella voce, doveva assolutamente distrarla o avrebbe capito.
“Oh, ma tu provochi!”
“Rimettiti al lavoro e lascia stare gli sceriffi, ok?”
“È un ordine?”
“Sì”.
“Agli ordini capo!”

L’idea di non lasciare perdere per niente la sfiorò, ma poi si disse che nessuno più di Hotch doveva desiderare notizie dei suoi cari e che le avrebbe chiesto aiuto se avesse pensato che poteva darglielo.
Le venne per l’ennesima volta un magone indicibile a pensare ad Haley e al bambino.
Ricordava ancora benissimo cosa era successo pochissimi giorni prima.
Sam era passato con un filmato ricavato dall’auto di sorveglianza, si vedeva Jake che andava sull’altalena, era distante e non poteva zoomare troppo sull’immagine o si sarebbe sgranata, poi il piccolo si allontanò, ma nel farlo prima passava proprio davanti all’automobile permettendo ad Aaron di vederlo almeno un pochino.
Aveva sentito il suo saluto al piccolo e aveva faticato a trattenere le lacrime.
Come adesso.

Andò in bagno a rinfrescarsi e passò davanti al nuovo ufficio di Derek, stava tenendo tra le dita la targhetta con il suo nome, e parlava al telefono.
Aveva l’aria stanca.
Come tutti loro del resto.

Intanto Hotch era nel suo di ufficio, stava scrivendo qualcosa e ogni tanto distoglieva lo sguardo da cosa scriveva per guardare torvo una cosa alla sua destra.
Una cartellina, i cui primi numeri erano 666… già proprio evocativi come numeri, mai quanto la foto e il nome sulla stessa però… era il file di Foyet, uno di quelli che si era fatto portare a casa settimane prima.
Distolse lo sguardo, la cartellina sarebbe dovuta diventare una cenere fumante dopo quell’occhiata, e scrisse con maggior vigore.
Derek gli aveva fatto un grosso favore lasciandogli l’ufficio, nessuno che facesse domande.
Solo.

Era quello che gli serviva in quel momento, evitare che gli facessero il profilo notando l’ossessione che era ormai centrale nella sua vita.
Catturare Foyet e niente altro.

E cercare di non pensare al dopo.

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