Sotto protezione, terza parte

Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.

L’agguato
Il rumore della pioggia era l’unico suono che si sentiva.
Un uomo era fermo ad osservare lo scatenarsi degli elementi, da quella posizione poteva vedere la luce accesa nella casa di fronte, il suo bersaglio soffriva d’insonnia.
Ma anche lui come gli altri presto avrebbe riposato, in eterno.

Nella strada rivoli d’acqua scorrevano impetuosi incanalandosi sotto i marciapiedi, portavano nelle fognature le foglie, mozziconi di sigarette e qualche cartaccia; il mattino seguente poteva anche sembrare che avessero pulito, e solo grazie alla furia dell’acqua.

Dall’altra parte, nella casa con la luce accesa, una persona stava leggendo aspettando un sonno che non arrivava. Il fischio del bollitore gli segnalò che poteva prepararsi la camomilla, un abitudine presa anni prima, quando con l’insonnia c’erano anche le chiacchiere con la moglie con cui ci si incrociava di rado.
Piccoli riti:
“Non hai sonno?” “Tu nemmeno?” “È il lavoro?” “Anche…”

Poi era tutto finito, era rimasta solo l’insonnia.
E la tazza di bevanda bollente che serviva a poco, ma ormai era un’abitudine consolidata; sorseggiare piano qualcosa di caldo era diventato un modo per far passare il tempo quando capitavano quelle notti.
E non ci rinunciava quasi mai.

L’uomo che osservava dall’altro lato sì sistemò meglio gli stivali di gomma che aveva ai piedi, da uno degli stivali spuntava un pezzo di carta, forse di un giornale, lo spinse più a fondo facendolo sparire dalla vista.
Un imbottitura.
Era una piccola precauzione, se avessero preso le impronte nel fango del giardino di fronte alla casa, avrebbero dato la caccia ad un tizio con dei piedi di due taglie superiori alla sua.
Piccoli accorgimenti, come i guanti che portava sempre con se.
Se non lo avevano ancora preso lo doveva alla sua attenta pianificazione, ed anche questa volta gliel’avrebbe fatta sotto il naso.
Aveva visto i federali andarsene, li aveva sentiti lamentarsi di non avere una pista.
Li aveva giocati.
Di nuovo.

Sarebbero tornati dopo questa notte, ma avrebbero brancolato nel buio.
E lui avrebbe riso dei loro tentativi.
Quanto potevano essere prevedibili.
A volte troppo e gli toglievano il piacere di sentirsi braccato, era sempre un passo avanti a loro.
Quanto ci avrebbero messo a capire?
Di sicuro troppo per l’uomo di questa notte, per lui arriveranno troppo tardi.

Dall’altra parte la luce si spense, si doveva essere deciso a coricarsi.
E al rumore della pioggia si aggiunsero i passi di chi aveva deciso che era il momento di agire.
Poche lente falcate e fu nell’ingresso, dietro di lui l’acqua scorreva veloce portandosi via le tracce del suo passaggio.

L’incubo
Aaron era riverso a terra, sopra di lui l’oscurità.

Sentiva i fendenti che gli venivano inferti e non riusciva a vedere chi lo colpiva, sapeva che doveva trattarsi di Foyet, sentiva le sue frasi di scherno, non coglieva il significato, ma era di nuovo in suo potere.
Poi si disse che era un incubo, che stava solo rivivendo in sogno l’aggressione e che doveva svegliarsi.
E così fece, ma il dolore non se ne andò, erano i postumi dell’aggressione, ed era ancora nelle sue orecchie anche la voce di Foyet.
“Ora vedrai le vittime in maniera differente, agente Hotchner”

Sì alzò ed andò in bagno a sciacquarsi il viso, sperando di levarsi anche di dosso quella sensazione di nausea che lo coglieva quando riusciva a ricordare nuovi dettagli dell’aggressione.
All’inizio erano stati pochi flash, poi mano a mano era tornato tutto alla mente, non poteva permettersi il lusso di scordare un solo istante, tutto poteva servire, Foyet poteva essersi lasciato sfuggire una frase che li poteva aiutare a trovarlo.

Lo riteneva improbabile, ma non impossibile e allora cercava di ricordare tutti i dettagli di quello che era successo, ma da sveglio, non voleva averlo nei suoi sogni.

Era preferibile non sognare in quel caso, di gran lunga.

Si rimise sotto le coperte, la lettera di Haley sul comodino, vicino alla fotografia di Jake.
L’agente che gliel’aveva portata la settimana scorsa era tornato dopo una mezz’ora, ed aveva preso in consegna una sua risposta alla moglie.
Voleva farle sapere che era loro vicino, che le era grato per la lettera e che non era arrabbiato per le telefonate alla madre.
Forse un poco lo era, ma non era quello il momento per dirglielo, da quello che gli aveva detto il collega lei aveva capito di aver fatto una stupidaggine, e non era il caso di infierire, era già dura così la cosa.

Sì ricordò quello che aveva detto lo sceriffo federale, il luogo di transizione era una cosa temporanea e rapidamente avrebbero cambiato di nuovo posto, ed era sollevato dalla notizia che il profilo di Mount Sant Helene era visibile anche dalla prima locazione, voleva dire che li aveva trovati a causa della telefonata e poi li aveva persi di nuovo.

Per fortuna.

Sapeva che poteva voler dire anche altro, ma aveva bisogno di convincersi che erano al sicuro, o non sarebbe riuscito a concentrarsi su niente altro.
C’era da capire come avesse fatto a trovarli anche quella prima volta.

Cercò di addormentarsi, con in mente il suo bambino che gli correva incontro felice, ecco quello era un bel sogno.
Deglutì piano sperando che potesse sognare solo di Jake, senza interferenze.

Senza incubi.

Il volo
Haley e Jake erano su un piccolo aereo che stava sorvolando le Montagne Rocciose.
Un ennesimo cambio di destinazione, era successo qualcosa ed erano dovuti andare via, ora si stavano dirigendo in una nuova località, l’agente le aveva detto che non era dipeso da lei, ma lei si domandava se nella lettera non ci fosse stato qualcosa che li aveva obbligati alla decisione, o altro.
La risposta di Aaron l’aveva rassicurata, ma sospettava che se anche fosse stato arrabbiato non glielo avrebbe scritto con una lettera, ma avrebbe aspettato che fosse tutto finito.

Il tempo era pessimo, il piccolo velivolo era scosso in continuazione dalla perturbazione in corso.

Ad un certo punto uno scossone più forte degli altri ed iniziarono a scendere troppo velocemente, vide la montagna farsi loro incontro e strinse tra le braccia il suo bambino, soffocando un grido di terrore.


Il rientro

Era tornato al lavoro.
Non poteva più restare a casa, aveva fatto i controlli che venivano richiesti in casi come il suo, ci sono domande a cui rispondere prima di tornare operativi, sapeva che forse non lo ritenevano ancora pronto, ma non poteva rimandare oltre.
Una settimana, dopo le tre in ospedale, era quello che aveva concesso alla promessa che gli aveva strappato Dave.

Mentre era a casa aveva deciso di assegnare il comando della squadra a Derek, la decisione li aveva colti di sorpresa, ma quando aveva capito che ai piani alti si preparavano a silurarlo, ritenendolo non all’altezza, l’unico mezzo per salvare l’integrità della squadra gli era parso quello.

Derek aveva precisato che per lui quello era un ruolo temporaneo, e che una volta catturato Foyet le cose sarebbero tornate alla normalità.
Non gli aveva detto ne sì ne no, aveva solo spiegato al collega cosa lo aspettava, tutta la burocrazia che fino a quel momento aveva sbrigato lui, gli si sarebbe riversata addosso, normalità sarebbe stata una parola sconosciuta ancora a lungo.

Inutile illudersi.

Era passata Emily a prenderlo, non era necessario, ma lei si era offerta e non voleva essere scortese.

Si erano subito diretti su un caso, e lì per ben due volte davanti al sangue rappreso per terra si era sentito venire meno; Foyet aveva ragione, ora vedeva diversamente le vittime, essendolo stato anche lui.
Una volta era rimasto solo silenzioso un istante di troppo, cosa subito notata dai colleghi, che però non avevano fiatato, mentre un’altra era proprio dovuto uscire subito dalla scena del crimine, forse era davvero rientrato troppo presto.

E forse era il caso di accelerare le pratiche per il passaggio di consegne.
Non era solo per timore delle decisioni dall’alto.

Voleva potersi impegnare di più nella caccia a Foyet e quello lo poteva fare solo se passava le beghe ad altri, se Derek avesse intuito le sue reali motivazioni non lo diede a vedere e ascoltava paziente le varie spiegazioni.
Non aveva idea della mole di lavoro che finora gli aveva risparmiato, profili preliminari, le riunioni con JJ per assegnare i casi a loro ed alle altre squadre, il loro era un gruppo unito e rischiare che la direzione lo smembrasse con delle riassegnazioni d’incarichi era impensabile.

Erano stati fuori solo una giornata, ma era stata intensa.
Ed avevano risolto due casi, l’attuale e un vecchio precedente che era rimasto insoluto per oltre trent’anni.
Però il prezzo era stato alto.
Troppo.
Ma non c’era il tempo di pensarci, di casi purtroppo ne avevano sempre che premevano e chiedevano risposte.

E il dopo Foyet pareva allontanarsi con il salire delle pile di cartelle nell’ufficio di JJ.

La notizia
Stava sgombrando l’ufficio, le consegne a Derek comprendevano anche la cessione dello spazio privato di cui godeva, quando vide lo sceriffo federale che aveva in custodia Haley e Jake entrare nell’open space.
Questi lo vide e si diresse subito nella sua direzione, entrò e chiuse la porta dietro di se.

Gli altri osservarono i due uomini parlare, lo sceriffo dava loro le spalle e parlava con concitazione, si vedeva che era molto agitato.
Ad un certo punto Hotch si mise le mani nei capelli stringendo i gomiti davanti al suo viso, poi scattò in avanti e spinse fuori l’uomo, dal basso sentirono una sola frase.

“Dovevano essere al sicuro!”
“Mi dispiace Hotch!”
“FUORI! FUORI DAL MIO UFFICIO!”
Dave uscì dal suo, che stava proprio lì di fianco e fece per domandare qualcosa, ma Hotch chiuse in malo modo la porta e fissandolo al di la del vetro chiuse le veneziane togliendosi dalla vista.
Derek fece per salire da lui, ma Dave gli fece cenno di non farlo, una mano protesa in avanti ad indicare che era meglio lasciarlo solo.

Raggiunse lo sceriffo fino all’ascensore e gli chiese spiegazioni.
Davanti a loro una buona fetta degli agenti ed impiegati erano in silenzio per la scena appena vista e sentirono quasi tutto.

“Non abbiamo ricevuto comunicazioni, cosa è accaduto?”
“Non c’entra Foyet, per quello non avete avuto comunicazioni, e la notizia per ora non è di dominio pubblico”.
“Che notizia?”
“Un incidente aereo sulle Montagne Rocciose, le cattive condizioni atmosferiche non ci hanno ancora consentito di raggiungere il luogo del disastro, ma ci sono poche speranze di trovare superstiti. L’aereo ha lanciato un mayday e poi il silenzio”.
“Ma come avete fatto perché la notizia non trapelasse? È una cosa impossibile con un disastro aereo!”
“Non era un aereo di linea, era un piccolo velivolo, fino a che non li avremo trovati, non ne daremo notizia”.

Dave intuì che doveva esserci dietro qualcos’altro, ma non fece altre domande.

Tornò dal suo amico, che aveva appena avuto la più tragica delle notizie che può ricevere un genitore.

Dave bussò, chiamando il collega, Hotch gli disse di entrare.
Ed anche lui come l’agente si chiuse la porta alle spalle.

Era passato da un pezzo l’orario in cui di solito si andava a casa, ma nessuno della squadra si mosse dall’open space.
Semplicemente aspettavano, senza nemmeno sapere bene cosa dire.

Era chiaro che non c’entrava Foyet, o loro lo avrebbero saputo, doveva essere capitato qualche incidente.
E non c’era niente che potessero fare.
Avevano tutti gli occhi lucidi, Emily ricordava quella volta in cui, quando Haley era ancora sposata con Hotch, erano andati tutti insieme a bere qualcosa, il piccolo Jake dalla nonna e loro tutti insieme come un normale gruppo di amici, quando ancora Haley riusciva a tollerare il lavoro del marito e le ore che lui vi dedicava.
Derek sentiva ancora le braccia del piccolo che lo stringevano mentre lo teneva in braccio quando erano stati a casa loro, temendo che Foyet avesse colpito.

Ognuno di loro si sentiva impotente ed inutile.

Ed anche molto arrabbiato.

Un silenzio irreale era calato negli uffici.
E fuori era ormai buio.
Lo stesso buio che pareva avvolgerli tutti, nella più cupa disperazione, a cosa era servito cercare di proteggere la donna e il bambino se poi quello che Foyet voleva glielo aveva servito il destino?

Derek senti quel piccolo barlume di fede che ogni tanto sapeva di provare, affievolirsi sempre più, come poteva Dio permettere una cosa tanto crudele?


Il silenzio

Nessuno parlava, negli uffici svuotati dal personale non c’erano nemmeno i soliti squilli telefonici a spezzare il suono del silenzio.
Erano tutti seduti a guardare il vuoto, persi nei loro pensieri.
Rossi ed Hotch si decisero ad uscire dall’ufficio.

Hotch si diresse alla porta e prese l’ascensore senza voltarsi nella loro direzione, l’aria stravolta.
Non dette loro il tempo di dire niente, fuggì letteralmente, come inseguito.
Nell’ascensore Hotch continuava a pensare a cosa si erano detti lui e Dave, sapeva che l’amico aveva ragione, ma non poteva fare a meno di sentirsi in colpa.
Voleva restare da solo e sapeva che Dave lo avrebbe accontentato, avrebbe impedito agli altri di fargli domande, avrebbe risposto lui al posto suo, evitandogli altri pesi.
Il silenzio gli parve un rifugio ambito.

Di sopra negli uffici non c’era più il silenzio.
Morgan aveva chiesto a Rossi delle spiegazioni, Reid pensava che non dovevano lasciare Hotch da solo in un momento del genere, Emily, JJ e Penelope erano concordi con lui.
Rossi aveva detto solo.
“Ha bisogno del nostro appoggio, ma ora dobbiamo lasciarlo in pace, datemi retta, ora non serviremmo a niente altro che a farlo stare ancora peggio”.

“E tu credi veramente che sia possibile che stia peggio di così? Haley e Jake dispersi sulle Montagne Rocciose, l’unica cosa che può peggiorare è avere la certezza della loro morte!”

“La voce ha già girato vedo, eravamo davanti all’ascensore quando ne ho parlato con lo sceriffo”.

“Credevi davvero che la cosa sarebbe rimasta chiusa nell’ufficio?”

“No, ma se Foyet lo scopre non potremo… usare Haley e Jake come esche per catturarlo!”

“È mostruoso! Forse sono morti e tu…”

“E io penso a catturare colui per cui stavano scappando e che li ha uccisi, anche se non con le sue mani, resta sempre colpa sua”.

“Dave ha ragione, non far sapere che… che… sì insomma non farglielo sapere è l’unico modo per farlo uscire allo scoperto, ma la cosa si scoprirà non appena troveranno… il velivolo”.

“Non è detto, potremmo sempre tenere segrete le loro identità, non erano registrati con il loro nome su quel volo, e nessuno, agenti FBI compresi, dovrebbe sapere quali erano i nomi che usavano”.

“Mi sembra mostruoso lo stesso”.

“Perché lo è, ma dobbiamo catturare un mostro”.

A quella frase seguì un altro innaturale silenzio, ognuno guardava l’altro sperando in una risposta che non poteva arrivare.
Penelope fu la prima a cedere, iniziò con un singhiozzo, Derek la prese tra le braccia lasciando che si sfogasse, non c’erano altri suoni nell’open space.

Derek ripensò alla settimana prima, l’altro caso e il pensiero che gli era venuto quel giorno e che aveva scacciato.
Esche…come quel giorno.

La trappola
La settimana precedente, sotto il nubifragio.

Un taglio netto al filo che portava la corrente all’allarme; con delle pressioni calibrate in più punti la serratura aveva ceduto, ora era dentro la casa.
Era stato facile, non aveva fatto rumore, attraversò la cucina e si ritrovò in un ampio ingresso, davanti a lui la scala che portava alla stanza da letto.
Salì, un primo gradino un leggero scricchiolio, il secondo stavolta il silenzio, al terzo all’improvviso si accesero le luci e partì una sirena lacerante.
Tornò rapidamente sui suoi passi, ma quando fu alla porta scoprì che non era così furbo come si credeva, gli agenti erano lì fuori ad aspettarlo.

Mentre un altro scendeva dalla scale con la pistola spianata.

“Fermo, le mani sopra la testa, getta la pistola!”
Non gli rimase che obbedire, si mise carponi come gli veniva ordinato.
“Ha il diritto di rimanere in silenzio…”
Fece una domanda
“Credevo di averlo disattivato l’allarme, ce ne era un altro?”
“…qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei, ha capito i suoi diritti?”
L’agente gli aveva sciorinato l’elenco completo dei suoi diritti, ignorando la sua domanda.

Si guardarono fissi, stavolta non c’erano gli occhiali a specchio a permettergli di non farsi guardare negli occhi, l’idea iniziale di Derek era stata esatta, il profilo corrispondeva, poteva anche essere una vittima, ma era invece il loro soggetto ignoto, che si era creduto al sicuro e aveva tentato di colpire di nuovo.
Credendo che se ne erano andati senza scoprire altri dettagli.

Ma loro lo aspettavano, avevano fatto un profilo inverso, cercando di capire chi poteva essere la prossima vittima, ed avevano ristretto il campo a due soggetti, entrambi sotto sorveglianza.
Sapevano essere discreti quando lo volevano.

L’uomo che lui avrebbe voluto aggiungere alla sua lista di vittime aveva aspettato che gli agenti tornassero alla sua casa dopo che si erano allontanati, una volta al sicuro aveva spento la luce, facendogli credere che poteva agire indisturbato.

E lui ci era cascato.

Aveva creduto alla sceneggiata che avevano messo in atto alla centrale quando avevano parlato di voler usare lui come esca.
Quando pensava di essersi preso gioco dell’agente Morgan e invece, era stato giocato.

Pensava di essere un passo avanti a loro e invece, era lì in manette non poteva più nuocere, e tutti loro non vedevano l’ora di poter eseguire lo stesso servizio anche per qualcun altro.

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