Sotto protezione, seconda parte

Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.

E la donna ed il bambino stavano a centinaia di chilometri da loro.
Con un altro nome a proteggerne l’identità, in un piccolo appartamento in una città densamente popolata, l’appartamento dava su un cortile dove Jake stava giocando con gli altri bambini, vicini di casa.
Nessuno faceva loro domande sul padre del suo bambino, era una donna divorziata con un figlio, come ce ne sono tante.
Un bussare discreto alla porta, uno dei vicini, quello che stava a fianco del suo appartamento con la finta fidanzata, l’altro agente FBI ,che erano la loro scorta.
L’agente si era offerto di aiutarla a mandare un messaggio ad Hotchner.

“Spedirò la lettera da un altro Stato, ma mi raccomando, nessun riferimento a dove siete, nemmeno per parlare delle giornate piovose, potrebbero essere un indizio se la lettera dovesse…”

“Vuole leggerla? Così potrà stare tranquillo. Non ho scritto niente di particolarmente riservato o che lei non possa immaginare”.

“Mi scusi”.
Le disse l’uomo prendendo in mano la busta ancora aperta, mentre lui tirava fuori la lettera ed iniziava a leggere, Haley ripenso a come la sera precedente aveva tentato di mettere sulla carta quello che non aveva saputo dire a parole quel giorno in ospedale.


Aaron ci manchi.Volevo solo tu sapessi che stiamo bene.
Il tuo collega mi ha consigliato di non scrivere troppe cose per evitare che scriva qualcosa che faccia capire dove siamo.
E allora la letterà sarà breve.
Jake guarda ogni sera una tua foto, sfogliamo insieme il libro che tu gli hai regalato, e si addormenta con quella smorfietta buffa che sappiamo bene da chi ha preso.
Sto iniziando a capire solo ora, a viverlo da dentro, cosa sia il tuo lavoro. Meglio tardi che mai, vero?
A casa con noi era il solo momento in cui potevi staccare e mi spiace di non aver mai capito quanto fosse difficile per te.

So che presto tutto questo finirà e so che per te stargli lontano è un dolore troppo grande, resisti, noi abbiamo bisogno di te.
Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

Ti voglio bene, Haley.

L’uomo ripetè le proprie scuse per l’invasione della privacy ed Haley lo fermò.

“La prego, sta solo facendo il suo dovere, magari rischiando pure il posto se… non sarà possibile avere notizie da Aaron vero?”
“No, far recapitare questa spedendola da lontano da qui è ancora una cosa fattibile, recapitare qualcosa qui o nelle vicinanze sarebbe un rischio troppo grande”.
“E scommetto che Aaron si arrabbierà pure per la mia iniziativa”.
“Non credo, non con quello che ho letto”.

L’uomo aveva tentato di risollevarle il morale, ma lei conosceva Aaron ed era tentata di strappargli la lettera dalle mani, ma la voglia di raggiungerlo per dargli almeno un po’ di speranza era troppa.

Sentiva che ne aveva bisogno.

Ora capiva quello che aveva tentato di dirle il mese precedente.

L’avevano informata su chi era l’individuo che aveva quasi ucciso suo marito e li minacciava, le avevano anche mostrato una sua fotografia nel caso fosse arrivato a loro e lo potesse identificare, ma l’avevano anche avvertita che era bravo nei travestimenti.
Niente di eclatante, ma gli erano bastati degli occhiali ed un aria dimessa ed aveva ingannato dei profiler esperti, e lei non era nessuna delle due cose.
Si era inferto delle ferite per risultare tra le vittime e non un sospettato.

E quel mostro ora era lì fuori a minacciare lei e Jake per torturare Aaron, di nuovo.

No, quella lettera non era una cattiva idea.
Era necessaria.
Aaron avrebbe capito, con il tempo.
Forse.

Offrì del caffè all’uomo che rifiutò ed uscì, erano sempre almeno in due e si davano il cambio.
Lei prese una tazza per se, e si mise guardare, dal terrazzino che dava sul cortile, il suo bimbo che giocava, gli avevano spiegato che non doveva dire a nessuno il suo vero nome, e sembrava divertirlo la cosa di usare un nome diverso per gioco.

Lei era in ansia, bastava un niente e avrebbero dovuto cambiare posto di nuovo, la prima volta era stata colpa sua, una telefonata di troppo.

Lei e il suo bambino da soli, sua sorella non aveva pensato a rassicurarla, sapeva che in qualche modo Aaron le avrebbe fatto sapere che lei e Jake stavano bene.

Sua sorella… curioso.
Aveva sempre fatto riferimento a lei, quando le cose con Aaron avevano iniziato ad andare di male in peggio, era da lei che era andata.
Quando Aaron era spesso via era sua sorella che le diceva che doveva pretendere che suo marito si prendesse il suo tempo per la famiglia.
Quando litigava con Aaron lei era sempre a disposizione, per criticarlo.

Ora che non la vedeva e la sentiva da oltre un mese si chiedeva cosa sarebbe successo se invece di essere a disposizione con della benzina a caricarla ancora più di rabbia contro il marito, avesse provato con dell’acqua per spegnere l’incendio.

Sono ingiusta, il nostro matrimonio Aaron ed io lo abbiamo tenuto in piedi e sfasciato da noi, lei ha solo fatto la sorella, e prendeva le mie parti.
Non posso prendermela con lei per questo. Ma a volte… avere un capro espiatorio è utile.

Soffiò sulla tazza prima di prendere un altro sorso di caffè, il vapore sfilò via nella brezza che si era sollevata, chiamò Jake perché rientrasse, e rimosse il pensiero della sorella, almeno per quel momento.

Lontano dalla sua vista l’agente consegnò la lettera al collega che si stava dirigendo a Quantico, non avrebbero potuto dire a nessuno dove stavano Haley e Jake, ma i contatti erano assicurati evitando le poste, però era meglio non dirlo alla donna, dopo quelle telefonate non si fidavano troppo del suo senso pratico.

L’aria stava rinfrescando, l’estate presto sarebbe stata un ricordo, lì l’inverno arrivava presto, ad imbiancare le pendici del monte che si vedeva in lontananza.

Un vulcano, quello che una volta era noto solo come Mount Sant’Helena.

La squadra.
Aaron li aveva spediti tutti fuori da casa sua il giorno dopo, quando al mattino si erano ripresentati per aiutarlo aveva detto loro che si sarebbe tenuto in contatto tramite Garcia e di andare ad occuparsi delle indagini.

Non dal suo salotto.

Nessuno aveva tentato di persuaderlo che stare da solo non era una buona idea, erano tutti ben consapevoli che aveva bisogno di riprendere la sua vita normale, per quanto potesse esserlo senza notizie della sua famiglia.
E lo avevano lasciato in pace, mentre controllava i codici dell’allarme che si era fatto installare in casa quando era ricoverato.
Non era mai stato attivato, fino alla sera precedente, quando in modo cortese, ma fermo, aveva rifiutato che uno di loro si fermasse a dormire sul divano.

Reid gli consegnò alcuni fascicoli che Garcia gli aveva detto che Hotch voleva, e non aveva aggiunto niente sapendo fin troppo bene su chi fossero.
Rossi ed Emily si fecero promettere che avrebbe chiamato per qualsiasi cosa.
JJ gli sorrise senza dire una parola, la sera prima quando era andata a casa ed aveva preso in braccio Henry aveva sentito un sottile senso di colpa, sapeva bene quanto Jake mancasse ad Aaron, lei meglio degli altri poteva capire quello che stava passando.
Derek fu il più riluttante ad andarsene, ma come aveva detto a Rossi, quando questi gli aveva detto come mai non diceva ad Aaron che pensava che fosse troppo presto per tornare al lavoro: gli piaceva il suo lavoro e non voleva perderlo per mettersi contro il suo capo.
Quindi alla fine abbozzò anche lui e si diresse con gli altri alla sede di Quantico, per lavorare ad uno dei tre casi in sospeso.
Penelope era la sola che rimaneva in contatto costante con Hotch, per quanto lui lo consentisse.

Poco, molto poco.

Le indagini
Morgan e Prentiss stavano interrogando un sospettato.
Non si era tolto gli occhiali a specchio nemmeno quando era stato al chiuso, Emily avrebbe preferito vederlo bene in volto, ma questo pareva intenzionato a non farsi guardare negli occhi.
Avevano analizzato tre delitti, trovando un tutti un comune denominatore.
Le persone uccise erano tutti in posizioni di comando, persone di successo.
Un dirigente di una piccola azienda.
Un caporedattore di un network.
Un militare in congedo che teneva conferenze contro la discriminazione all’interno delle forze armate.

E il tizio con gli occhiali a specchio davanti a loro, aveva avuto a che fare con tutti e tre.
Era stato nell’esercito, anche se la pancetta prominente dava l’idea che non avesse continuato a tenersi in esercizio.
Una sua fidanzata lo aveva lasciato e lavorava per il caporedattore del network, ed era stato licenziato dal dirigente ucciso.

Dovevano solo trovare le prove che lo collegassero ai delitti, non aveva un alibi, ed era pieno di moventi.
Una confessione avrebbe fatto al caso loro.

Derek iniziò l’interrogatorio.
“Quando è stata l’ultima volta che ha visto il maggiore?”
“Ex maggiore, lo vidi ad una conferenza la scorsa settimana, due giorni prima che venisse ucciso”.
“In passato era stato sotto il suo comando, che tipo di comandante era?”
“Un emerito figlio di buona donna, se crede che pianga per la sua scomparsa si sbaglia. Si riempiva la bocca di parole contro le discriminazioni, ma era solo un bugiardo. Cavalcava solo l’onda del politically correct e niente di più”.
“Un astio di vecchia data”.
“Se dovessi uccidere tutti quelli che non mi stanno simpatici avrei fatto una strage, e mi sarei anche dovuto suicidare alla fine”.

L’uomo non cedeva di un centimetro, non faceva niente per nascondere l’astio verso le persone assassinate, ma proprio per quello diventava difficile pensare che fosse stato lui, non avrebbe saputo controllarsi e le scene del crimine non sarebbero state così intonse e prive di impronte.

Derek ed Emily uscirono un istante per accordarsi e parlare della cosa.
“Non cede e mi sto convincendo che sia solo un tronfio pallone gonfiato”.
Disse la donna guardando l’uomo al di là dello specchio, quest’ultimo si tolse per un attimo gli occhiali e si mise a pulirli, rivelando due occhi di colore diverso.
“Ecco perché non si toglie mai gli occhiali, lo infastidiscono le persone che lo fissano per il colore dei suoi occhi”.
“No, non se li leva perché è come hai detto prima, è un pallone gonfiato”.
“Ma questo non fa di lui un assassino, anzi, stando alla vittimologia, potrebbe essere la prossima vittima, è un caposezione nel settore della farmacologia e… rientra nel profilo del nostro SI”.

“Usiamolo come esca!”
“Derek…sei ammattito?”
“Forse”.
“Dovremmo sentire cosa hanno scoperto Rossi e Reid”.

Derek chiamò Garcia per sapere se aveva notizie di Hotchner, la donna gli disse che dopo averle chiesto di mandargli alcuni file aveva detto che voleva riposare un poco e aveva spento il computer.
Ma sospettava che stesse semplicemente leggendo e rileggendo il materiale che avevano su Foyet.
Cercando una qualche cosa che dicesse come farlo uscire allo scoperto.
Lui non potè impedirsi di pensare che l’idea dell’esca gli veniva dal discorso di Hotch, ma non sarebbe stato pensabile di mettere a rischio Haley e Jake.
Ma come stanare quel verme di Foyet era una cosa che turbava ognuno di loro, come aveva detto Rossi, chi colpisce uno di noi colpisce tutti noi, Aaron avrebbe dovuto capire che non lo avrebbero lasciato solo contro Foyet.

Mentre lui era al telefono con Penelope arrivarono Dave e Spencer, con dei dettagli interessanti sulle vittime, ognuna di queste persone mostrava una facciata, di perbenismo e gentilezza che nascondeva comportamenti tutt’altro che cortesi.

Il militare si era salvato dalla corte marziale per comportamento indegno solo perché si era dimesso.

Il caporedattore molestava le sue dipendenti, ma non c’erano denunce.

E il dirigente, aveva messo a casa decine di dipendenti mentre lui spendeva a destra e a manca per ville e costose vacanze.

Aaron
Aveva spento il computer, voleva restare da solo e continuava a sfogliare quelle pagine, lì stava scritto nero su bianco come si erano fatti scappare Foyet la prima volta.
Come non avevano capito che era impossibile che Il Mietitore avesse lasciato un superstite.
Del senno di poi sono pieni i fossi, ma era una citazione troppo semplicistica e non gli venne proprio in mente, preso com’era a maledire se stesso per non aver capito.
Avevano avvisato gli sceriffi federali del fatto della cartolina, nel caso avesse una qualche relazione al posto dove erano nascosti Haley e Jake.
Stava aspettando che gli facessero avere notizie, che quella cartolina era solo un riferimento ad un passato che non c’era più e non ad altro.
Riaccese il portatile, chiamò Garcia.
Si fece aggiornare sulle indagini che stavano seguendo gli altri, le disse che aveva bisogno di altri file, le elencò quello che gli serviva, una volta avuto la rassicurazione che presto gli sarebbe stato recapitato tutto a casa salutò, piuttosto bruscamente, e chiuse di nuovo i contatti.

La donna per un momento rimase perplessa, a domandarsi come poteva aiutarlo.
Poi le venne in mente che poteva portargli lei i documenti.
Ma scartò l’idea pochi secondi dopo, immaginando la sua reazione infastidita, se era brusco nei contatti telefonici, meglio stargli a distanza di sicurezza.
Almeno per un po’.

Uno sceriffo federale arrivò alla porta dell’appartamento di Aaron, bussò.
Aaron osservo prima dallo spioncino di chi si trattava, poi lo fece entrare.

Il collega gli spiegò che quando avevano saputo della cartolina avevano immediatamente trasferito lei e il piccolo in un luogo di transizione.
Ad Aaron ghiacciò il sangue nelle vene all’idea che Foyet era riuscito a scoprire dove stavano per ben due volte.
Ma l’agente disse che forse era solo un caso, dato che Mount Sant’Helene era visibile in lontananza anche nella prima destinazione.

Gli consegnò la lettera della moglie e con una scusa, disse che doveva spostare l’auto e sarebbe tornato più tardi, lo lasciò solo a leggerla.

Aaron si mise seduto a leggerla. Gli occhi gli si riempirono di lacrime all’idea del suo piccolo, era il suo compleanno.
E lui non era là a fargli gli auguri.

Rilesse più e più volte la penultima riga.
Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

E continuava a ripetersi il contrario.
Ho tutto da farmi perdonare… è solo colpa mia.
Dovevo lasciare questo lavoro due anni fa, e non sarebbe successo niente.

Portò le mani al volto e pianse.
Mentre la lettera cadeva piano sul pavimento, ripiegata in un modo per cui si leggeva solo l’ultima riga.

Ti voglio bene, Haley.

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