Ricordi, seconda parte

DISCLAMERS: I PROTAGONISTI DI JAG CHE SONO PRESENTI NELLA STORIA SONO DI PROPRIETA’ ESCLUSIVA DI DONALD P. BELLISSARIO. L’AUTRICE DEL RACCONTO LI HA PRESI IN PRESTITO PER PURO DIVERTIMENTO SENZA ALCUNO SCOPO DI LUCRO.

N.d.A.: i personaggi che non esistono in JAG sono invece di proprietà di chiunque voglia divertirsi ad usarli.

Firmato
Rabb-it
 WASHINGTON D.C. CASA RABB
Mac si svegliò di soprassalto, guardò il marito, felice di non averlo svegliato, si alzò ed andò in cucina; fuori era ancora buio, non lesse l’ora sull’orologio appeso al muro, quella la sapeva sempre, mise dell’acqua sul bollitore e si sedette ad aspettare intanto nella sua mente riviveva ciò che l’aveva svegliata.

Era su un’imbarcazione che veniva sballottata dal mare in tempesta, abbracciata ad Harm stava singhiozzando disperatamente, quando all’improvviso accanto a loro ecco Erin, che le diceva di non preoccuparsi, Sean era suo nipote e lei e Peter ne avrebbero avuto cura come sempre.

Versò l’acqua bollente in una tazza e vi mise una bustina di camomilla.
Prima, al risveglio, si era sentita come quando si sta sott’acqua e non riesci a respirare, adesso avrebbe voluto Harm vicino a se, ma non voleva angosciare anche lui; a volte l’interpretazione dei suoi sogni poteva essere diversa da quella che lei pensava.

Sean è in pericolo? Ed Erin mi rassicurava, o è già accaduto il peggio mi diceva che si sarebbero presi buona cura di lui?
“No, per favore no…”
“Sarah, che succede?”

Harm era sulla porta della cucina, si era svegliato e visto che lei non era a letto era sceso a cercarla, trovandola che stringeva spasmodicamente tra le mani una tazza con qualcosa di caldo, sentendola sussurrare si preoccupò.

Un cenno di diniego da parte della più caparbia testa di latta che annoverasse il corpo dei Marines, non smontò il calamaro volante più affascinante della storia della marina, che sedutosi al suo fianco mise una delle sue grandi mani sopra quelle di lei, tremanti, e le chiese di nuovo cosa stesse succedendo.

Lei si sentì pervadere da una profonda sensazione di calma, ancora combattuta fra la voglia di confidarsi e il desiderio di non farlo impensierire, ma sapeva che lui non si sarebbe arreso, lo conosceva e quando c’era qualcosa che non andava non si sarebbe accontentato di risposte vaghe.
Gli raccontò il suo sogno, lui le lasciò le mani perché potesse bere, mentre lei mandava giù a piccoli sorsi la bevanda fumante Harm si domandava come fare a tranquillizzarla senza prendere sottogamba i suoi sogni; erano anni che conviveva con gli strani poteri della moglie, non aveva mai cercato di capirli, non era una cosa spiegabile, lei gli aveva salvato la vita e tanto gli bastava per darle retta quando sognava.

“Secondo me, Erin sa che ultimamente sei molto preoccupata per i ragazzi e ha cercato di tranquillizzarti.”
“Lo spero, solo che in questo momento vorrei che fossero ancora piccoli di sopra a dormire nei loro lettini, sciocca vero?”
“No, sei una madre preoccupata, ma non succederà nulla ai nostri ragazzi, hanno troppi angeli custodi che vegliano su di loro.”

Si sentiva un bugiardo, ma come faceva a dirle che era preoccupato, ultimamente diversi piloti avevano lamentato problemi ai nuovi caccia, ma come al solito le cose erano tacitate dall’alto e lui doveva aspettare che l’ inchiesta che aveva avviato andasse avanti e non poteva parlarne nemmeno con lei, AJ Roberts era parte di quelle inchieste, il suo rientro in servizio su una portaerei era per permettergli di arrivare ad informazioni altrimenti insabbiate, ma questo lo sapevano lui e i due AJ, il più anziano quando aveva saputo della cosa gli aveva ricordato la sua frase di anni prima: “Non esistono ex-agenti CIA.”
Infatti cos’era quella storia se non un incarico segreto

Abbracciò la moglie poi la prese tra le braccia e la portò di sopra, lei si lamentò, preoccupata per la sua schiena e lui scrollo le spalle sorridendole.

Comunque Harm non era l’unico ad avere un segreto quella sera, a Mac era mancato il coraggio di raccontargli un particolare del sogno, anche perché avrebbe dovuto parlargli di una cosa che non gli aveva mai detto e quello non le pareva il momento di tirarla fuori.

USS CLINTON,
AL LARGO DELLE COSTE DELLA FLORIDA

Era l’alba e il tenente Rabb stava scrutando l’orizzonte, come il fratello e il padre si sentiva completo solo quando era in volo, l’adrenalina che sentiva scorrergli dentro insieme ad un’ebbrezza, come una sensazione di libertà che a terra non era nemmeno immaginabile.

Ma stamani era inquieto, avrebbe voluto poterne parlare di quello che gli stava capitando, ma le uniche persone con cui avrebbe potuto farlo erano a terra, a miglia di distanza.
Una di loro era Elizabeth, presto contava di farla conoscere ai suoi, non che parlassero già di matrimonio, ma ci teneva che sua madre conoscesse la donna che era stata capace di far tacere “Talker”, sapeva che le sarebbe piaciuta; sua madre, ecco l’altra persona che avrebbe capito in pieno la strana angoscia che lo aveva colto quella mattina.

Era solo un bambino quando aveva raccontato un incubo a sua madre…
Stava nuotando con gli zii ed il cuginetto, quando si erano avvicinati i suoi genitori con la barca, lui era salito per primo, Henry era rimasto in acqua, poi sua zia Erin lo aveva messo tra le braccia di sua madre, mentre suo padre dirigeva la barca verso la costa lasciando al largo gli zii, Henry si era messo a piangere e lui si era svegliato che piangeva a sua volta.

Sua madre gli aveva detto che era solo un sogno, e che aveva paura perché quando erano stati in barca con gli zii lui per un pelo non era annegato.
Era tornato a letto sereno, senza notare gli occhi lucidi di sua madre e l’assenza del padre, era felice di non avere svegliato il cugino che quella sera dormiva nel suo letto, si riaddormentò dimenticandosi il brutto sogno, per quella notte.
Lei lo aveva aiutato ad accettare quello strano dono, ma non aveva mai avuto il coraggio di dire al padre o ad Henry ciò che aveva sognato, era stato un segreto fra lui e la madre.

Temeva di ricordare i sogni, invece capitava di rado, una notte Elizabeth si sveglio con lui che chiamava il suo nome, chiese spiegazioni e lui le disse che aveva sognato che erano in macchina insieme e un bambino attraversava loro la strada e lei non riusciva a frenare, il bambino indossava una maglietta rossa e dei pantaloncini bianchi; le disse di guidare con prudenza, ma di non farsi spaventare era solo un sogno.

Quando quella sera rincasò trovò la sua ragazza in lacrime, e alle sue domande rispose che mentre stava tornando da lezione quel mattino aveva visto di essere un po’ in anticipo e dato che non era tranquilla era andata a far controllare la macchina, il meccanico le aveva detto che i freni andavano sistemati, in caso di frenata brusca l’auto avrebbe sbandato in quelle condizioni.
Lasciata l’auto dal meccanico aveva fatto le altre commissioni e nel tardo pomeriggio era andata a riprendere l’auto e si era diretta verso casa di una sua amica con cui aveva appuntamento, poco prima di una curva sbuco fuori un bambino con una maglietta rossa e dei calzoncini bianchi che le attraversò all’improvviso la strada, se non avesse fatto aggiustare i freni lo avrebbe investito.

“Ma non è successo, stai tranquilla.”
“Ma io stanotte avevo riso di te.”
“Pure io, non sai quanto mi prenda in giro da solo per questa storia, solo non lo dire in giro, sai i colleghi…”

Sean tornò al presente, già i colleghi, quelli buoni forse ne avrebbero solo riso, ma i maligni ne avrebbero approfittato magari per fargli le scarpe, meglio tenere per se i suoi pensieri.
L’arrivo del suo RIO lo distolse dai pensieri, scesero sul ponte e le varie procedure di controllo del mezzo assorbirono tutta la sua attenzione; quando finalmente decollò niente poteva più distarlo, c’era in vista una dura sessione di prove ed esercitazioni, per di più le previsioni non erano buone, stava arrivando una tempesta e dovevano sbrigarsi se non volevano ritrovarsi a fronteggiare un uragano di cattivo umore!

Ma lui confidava nella sua buona stella, non credeva nella sfortuna, ma alla fortuna sì!

UFFICI JAG
Harm fece chiamare Mac, le dita contratte sulla cornetta del telefono, rimase immobile senza riuscire a riagganciare come se il filo alzato potesse impedire alla realtà di travolgerlo.
Questione di istanti, riprese il controllo e con lo sguardo freddo di chi sa che non può permettersi di lasciarsi andare si recò dalla moglie, non ci fu bisogno di dire nulla lei sapeva.
“No, dimmi che non…”

Lui la prese tra le braccia e la strinse forte, mentre le diceva che lo stavano cercando, e che presto lo avrebbero trovato, c’era stata una collisione, la tempesta era arrivata prima del previsto e due aerei in esercitazione si erano sfiorati, gli equipaggi avevano fatto in tempo ad eiettarsi, tre di loro erano già stati tratti in salvo, all’appello mancava solo Sean.

“Vedrai che lo troveranno, andrà tutto bene.”

Mac si sentì trascinare in un vortice, aveva già sentito quelle parole anni prima, ripensò alle sue lacrime mentre aspettava notizie di Harm, le tempeste, gli aerei, un moto di rabbia verso chi aveva trasmesso l’amore per quei rischi ai suoi figli.

Lo spinse via rifiutando il suo conforto, lo sapeva che era ingiusta, era anche figlio suo e lui aveva già attraversato una volta quel sentiero, ma non riusciva a non avercela con lui.
E con se stessa, perché non aveva fatto nulla, non le veniva in mente che non poteva farci nulla, adesso lo strazio era troppo forte; lui non cercò di prenderla di nuovo tra le braccia, vedeva la sua rabbia e si sentiva impotente, anche tormentato dal senso di colpa, lui sapeva che qualcosa non andava, ma era legato al segreto!

Sarah rivisse il momento in cui avevano saputo che Harm era disperso, ricordò le sue lacrime davanti ad un Brumby che capiva in quel momento quanto quel rivale fosse avanti a lui nel cuore della sua donna, ma no forse non era mai stata veramente sua, e se ne era andato…dopo il ritrovamento di Harm, non voleva essere la seconda scelta e si era dileguato dalla vita di Mac.

Mac si sedette ad aspettare notizie, decisero di non avvisare i ragazzi finché non avessero avuto notizie precise, e lei si ricordò di come anni prima lo stesso riguardo fosse stato fatto alla madre di Harm, inutile preoccuparla quando non si avevano ancora notizie certe, Bud lo aveva spiegato ad una scossa Renée, allora fidanzata di Harm, che la voleva chiamare.

Invece per lei, generale dei marines, sposata con il comandante in capo dello JAG certe attenzioni non erano riservate, per loro niente sconti sulla pena di un attesa che logorava e sconvolgeva in modo tanto doloroso.
Ricominciò a piangere, Harm le si inginocchio a fianco e le asciugò le lacrime, lo guardò e vide il suo stesso dolore riflesso noi suoi occhi e si vergognò del suo comportamento di poco prima, glielo disse, e lui le mise un dito sulle labbra mentre parlava.

“Non dire nulla, hai ragione è colpa mia!”
“No…”
“Sttt, adesso pensiamo come fare per aiutare chi lo sta cercando, non è che nel tuo sogno c’era qualche particolare, che magari stanotte ti era sfuggito.”

OCEANO ATLANTICO
In mezzo all’oceano, intanto, Sean si teneva con tutte le sue forze al canotto di salvataggio, un frammento dell’aereo lo aveva ferito, rompendo il giubbino di salvataggio che aveva sganciato per non farsi tirare sotto, l’acqua gelida aveva fermato l’emorragia, ma quello che prima lo aveva salvato adesso poteva diventare la sua morte, ipotermia.

Quante volte aveva sentito di come suo padre avesse passato un esperienza simile, ma non era per niente interessato a viverla di persona, invece eccolo lì; la tempesta non si placava e secondo lui il vento lo aveva allontanato dalla zona del lancio, sentiva le forze venirgli meno e ripensò al sogno fatto la notte precedente.

Era in vacanza con i suoi, c’erano ancora gli zii, lui era solo un bambino, ad un certo punto lui cadeva in acqua e zio Peter lo tirava fuori, e zia Erin gli diceva, ma dai Sean dobbiamo sempre tirarti fuori dai guai.

Lui si era svegliato, non era la prima volta che faceva quel sogno, diversi anni prima lo aveva fatto, ed era dalla loro morte che non sognava gli zii, e per l’agitazione, durante l’esercitazione del giorno seguente, non era stato zitto un secondo alla radio, beccandosi il nomignolodi Talker, oltre ad una bella reprimenda dal suo istruttore, che lo fece atterrare venti minuti prima.
Solo che dopo ai controlli a terra risultò che c’erano dei problemi al sistema idraulico e che se fosse rimasto in volo ancora pochi minuti durante l’atterraggio si sarebbe sicuramente schiantato.
Il capomeccanico venne rimosso dall’incarico, lui evitò di raccontare il suo sogno, tranne a sua madre, in fondo non era sicuro che volesse dire qualcosa, ma stamani quando si era svegliato non era stato facile non fare collegamenti.

Un onda più forte gli fece perdere la presa sul canotto, andò sott’acqua, riemerse a fatica, nuotò in direzione del canotto, rimpiangendo che Henry lo battesse sempre quando erano in acqua, un’altra onda lo spinse di nuovo sotto, stavolta non riemerse.
Mentre l’acqua si chiudeva su di lui, pensò a com’era strano, aveva sentito dire che quando stai per morire rivedi tutta la tua vita, ma lui vedeva solo Elizabeth e il loro ultimo giorno insieme.

Lei era sdraiata a letto, lui stava finendo di preparare la sacca per l’imbarco da li ad alcune ore.
“Mi mancherai, pilota, torna presto!”
Lo aveva detto sorridendo, tendendogli la mano, come un invito a godere degli ultimi momenti insieme.
“Pensavo saresti stata più preoccupata all’idea del mia partenza.”
“Mi vorresti in gramaglie? Se vuoi vado a prendere una cipolla;-)”
“No, sono contento di come sei, mi piace il tuo modo di essere sicura di me, ti piacerebbe mia madre, mai una volta che dica sta attento, eppure lo so che detesta il mestiere che ho scelto.”
“Mi vuoi già presentare tua madre? Devo preoccuparmi?”
“Non so, vedremo se c’è da essere preoccupati, però davvero hai una calma che poche ragazze avrebbero, o forse sei solo una brava attrice.”
“Ecco bravo, forse dimentichi che mio padre è un sommergibilista, e i miei fratelli maggiori sono entrambi in marina, insieme a mia madre mi sono abituata alle partenze e alle attese.”
“E sei la pecora nera della famiglia!”

Lei afferrò un cuscino e glielo tirò addosso, stava studiando veterinaria, e in casa la prendevano spesso in giro con quella battuta, dato che anche la madre era in marina, anche se svolgeva incarichi di tipo amministrativo e non era mai stata in servizio in mare.

“Roger e Michael ti hanno insegnato subito bene! Adesso ti sistemo io!”

La finta lotta prese presto altri connotati, Elizabeth era felice di come stava andando la sua storia, ne aveva parlato un poco a casa con i suoi quando le cose avevano iniziato a farsi serie, aspettava le loro reazioni con un poco di ansia dato che sapeva che il nome Rabb in marina è parecchio conosciuto, ma i suoi fratelli le avevano detto qualcosa del tipo sei maggiorenne e vaccinata, lo sai che ti aspetta con un marinaio, il padre aveva precisato che il padre di Sean era troppo alto per il suo sommergibile, e la madre, ridendo gli aveva detto che ne aveva parlato per giorni di quel tale che a momenti gli distruggeva il sommergibile a testate, oltre che salvare lui e i sui uomini da una brutta situazione, poi aveva detto alla figlia di avere incontrato il generale Mackenzie quando era una giovane recluta, e l’allora maggiore le aveva dato dei buoni consigli.

Insomma per i suoi tutto bene,non parevano per niente intimoriti dall’ammiraglio e dal generale, ma il fatto che lui volesse che lei conoscesse sua madre la metteva un poco in ansia e allora bisognava fargli cambiare argomento e ci riuscì molto bene.
Fecero l’amore con passione, poi lui dovette filare a razzo, o sarebbe stato in ritardo, prima di salire in auto aveva guardato verso la loro finestra e lei era là, con indosso una sua camicia a farle da pigiama, a sorridergli e a tenere una mano premuta sul vetro come se potesse ancora toccarlo un ultima volta…

UFFICI JAG
Una neo-marine stava andando, ignara, a trovare i suoi genitori, si fece annunciare, ma appena l’attendente disse che i suoi erano soli, lei entrò, e vide suo padre molto agitato.
Dunque all’accademia dicevano preparatevi agli imprevisti, ma lei pensava che quello fosse un evento impossibile, e invece eccolo lì davanti ai suoi occhi, mentre stava urlando al telefono che non era possibile che non avessero più il segnale, suo figlio non si sarebbe mai tolto il giubbino e no, non accettava l’idea che potesse essere morto.

“Morto?Ma che sta succedendo?”

La videro e sua madre la prese tra le braccia, le raccontò ogni cosa, le chiese cosa ci faceva in ufficio, non aveva le esercitazioni?
Lei disse che erano state rimandate per un problema degli istruttori con il comando, e allora il suo plotone era stato mandato in licenza per due giorni. Era furibonda con loro per non averla chiamata subito, decise che non era il momento di fare rimostranze, si controllò, ma i bagliori del suo sguardo la dicevano lunga sul suo stato d’animo.

“Sean è mio fratello, adesso resto con voi ad aspettare buone notizie, e saranno buone!”
Mac ripeté ad Harm il sogno fatto quella notte, aggiungendo il particolare che la barca su cui lei stava in lacrime era quella con cui erano andati in vacanza al largo anni prima con Peter ed Erin e gli spiego anche del sogno che aveva fatto Sean da bambino e di come le avesse descritto la barca che a volte sognava da grande, lui non lo ricordava, ma lei sì, era quella stessa imbarcazione.
Harm rimase un attimo sgomento, non sapeva che dire, fu Ashley ad avere una folgorazione.

“Papà il diario di bordo di zio Peter, Henry me lo leggeva da piccola, erano le nostre fiabe.”

Mac si ricordò del racconto che Peter aveva tratto dal diario di bordo, aveva romanzato un poco e ne era uscito uno spiritoso ritratto di loro sei, quattro adulti e due bambini, senza immaginare che quello sarebbe stato l’ultimo ricordo che lasciava a suo figlio, ed Henry aveva avuto buona cura del diario.
“So che lo ha in casa sua, ma cosa dobbiamo cercare?”
“Il mancato annegamento di Sean, lo hai detto tu, che Erin, in sogno, ti ha detto che Peter avrebbe sempre protetto Sean, e fu lui a prenderlo quando cadde fuori bordo.”
“Sì ma, non ricordo con esattezza dove!”

Stavano parlando uno sull’altro ed Ashley ad un certo punto elencò latitudine e longitudine, Harm la fissò, poi scotendo la testa disse che era tutta sua madre, e chiamò il comandante della portaerei.

USS CLINTON
Sulla portaerei uno dei sottoposti si stupì della celerità con cui il comandante esegui la richiesta dell’ammiraglio Rabb.
Una volta inviati gli ordini, non resistette e ne domandò spiegazione.
“Giovanotto, io avevo all’incirca la sua età quando salvammo l’ammiraglio Rabb da morte certa grazie all’intuizione di quella che oggi è sua moglie, e dato che quello là fuori è figlio loro, io intendo fare ciò che mi chiedono!
Altre domande?”
“No, signore! Mi scusi signore, avrei dovuto saperlo che aveva delle ottime ragioni per tanta fiducia, signore!”

NELLA TEMPESTA
Sean sott’acqua, con il pensiero di Elizabeth alla finestra, attinse alle sue ultime forze e riuscì a tornare a galla, e il canotto era lì, come se la mano di lei ve lo avesse spinto.
Era semisvenuto quando dall’elicottero lo videro e scesero a prenderlo a bordo, era ferito, aveva freddo, ma era vivo.

UFFICI JAG
La notizia del suo ritrovamento, e delle sue buone condizioni nonostante ferita ed inizio di ipotermia, si sparse rapidamente negli uffici, accolta da esclamazioni di gioia e sospiri di sollievo.
AJ Roberts si trattene a lungo al telefono con Harm e Mac rassicurando il suo padrino e la sua madrina di battesimo che il figlio era in forma e presto sarebbe stato mandato a terra per la convalescenza, poi informò Harm che qualcosa di veramente grosso era successo, ma che attendeva la commissione d’inchiesta sull’incidente.

Mac guardò il marito e intuì che c’erano delle cose che lui non le aveva detto, non disse nulla, avrebbero parlato a casa, con più calma.

INTANTO, IN MONTAGNA
Henry, all’oscuro della mancata tragedia, stava arrampicandosi su di una cresta; le poche ore di sonno non lo infastidivano, vi era abituato, aveva voglia di stare solo, per pensare.

Quante volte da ragazzo avrebbe avuto tante cose da chiedere, ma c’era sempre quel riserbo, le domande lui le sentiva come una violazione del dolore dei suoi, oh certo molte cose gli erano state spiegate, aveva letto la lettera del padre, era il segnalibro di quel diario che egli aveva scritto anni prima, le loro ultime vacanze insieme, una gita in barca, due intere settimane passate senza mettere piede sulla terraferma, era divertente il modo in cui suo padre aveva raccontato la cosa, si era messo in terza persona a narrare ciò che era accaduto in quei giorni, calcando la mano sulle cose spiritose; sua madre, Erin, aveva poi corretto il lavoro del marito, in fondo l’insegnante era lei, lui si occupava di ricerche…almeno era quello che credeva fino a stanotte.

No, meglio pensare ad altro; il diario, quando Ash era piccola gliene leggeva un poco per volta, ma quando lo finiva lei lo voleva ricominciare dall’inizio, era quasi sicuro che lo conoscesse a memoria, come lui del resto.
Mentre a Sean non piaceva sentirlo leggere, forse non lo aveva mai nemmeno preso in mano, gli aveva chiesto come mai, poi, dato che dal fratello non era giunta risposta, aveva smesso di domandarselo.

Era in cima, parecchio distante dal rifugio, sarebbe rientrato a sera, si domandò quanto avrebbe trovato da leggere, quando lui era partito AJ era molto preso, come chi ha trovato un ispirazione e tema di vedersela sfuggire.

OSPEDALE DI BETHESDA
Mac stava andando a trovare il figlio, lo avevano trasferito dopo poche ore dal suo ripescaggio, si stava dirigendo verso la sua stanza, quando senti fare il nome Rabb e tornò indietro verso l’accettazione.
Qui una bella ragazza mora sui vent’anni o poco più stava discutendo animatamente con un infermiera, voleva notizie di Sean, aveva saputo da suo fratello che era stato mandato in ospedale.

“Chiedetelo a lui se non vuole ricevere la visita della sua ragazza, ma se non potete chiederglielo allora vuol dire che era grave e io non mi muoverò di qui senza averlo visto, per nessun motivo.”
Mac sapeva che il figlio usciva da un po’ con una ragazza, il fatto stesso che lui gliene avesse parlato implicava che la cosa fosse abbastanza seria, si avvicinò al banco, l’infermiera appena la vide assunse un espressione di sollievo, la ragazza si voltò di scatto, per capire il motivo del cambiamento.

Quando riconobbe il generale MacKenzie divenne di brace, non sapeva quanto avesse sentito, e lei si era definita la ragazza di suo figlio, magari lei si domandava chi fosse questa folle.

“Buongiorno, l’accompagno io da Sean, sono certa che sarà felice di vederla.”
“Ecco io…grazie.”
“Mi scusi sa, ma il regolamento”

Era stata l’infermiera a parlare, Elizabeth stava per scrollare le spalle poi si rammentò chi c’era al suo fianco e decise di essere diplomatica.
“Mi scusi lei, stava solo facendo il suo dovere.”
Elizabeth si presentò a Mac mentre andavano verso la stanza del giovane, sulla porta esitarono un istante ad osservarlo, era addormentato, dalle lenzuola si intravedevano le bende che gli fasciavano il torace, era ferito alla schiena, i lividi sul volto erano un ulteriore prova della brutta avventura, ma l’aria quieta con qui riposava le rasserenò.

Sentendosi osservato il pilota si destò, aprì gli occhi di un nocciola intenso, e guardando le due donne che senza saperlo lo avevano tenuto a galla là fuori, sorrise, lo stesso sorriso da infarto del padre.

“Accidenti, vi siete già conosciute, allora sono nei guai.”
“Sciocco!”

Avevano parlato all’unisono, si guardarono e non poterono che scoppiare a ridere, mentre stavano ridendo entrò nella stanza Harm, che era stato trattenuto per decidere chi inviare per l’inchiesta, al suo ingresso Elizabeth rimase ammutolita, non era la prima volta che lo vedeva, ma la televisione e le foto dei giornali non gli rendevano giustizia; adesso capiva meglio da chi avesse preso l’uomo di cui era innamorata, e l’idea di invecchiare con lui le parve ancora più interessante ora che aveva visto come sarebbe stato Sean tra molti anni.

Adesso il generale e l’ammiraglio non erano più solo delle entità non meglio definite, ma erano lì in carne ed ossa davanti a lei.
Capì anche la battuta del padre sulla statura dell’ammiraglio, Sean non era alto quanto il padre nonostante superasse il metro e ottanta.
Dietro di lui una ragazza, che lei identificò come la sorella, aveva la pelle leggermente ambrata della madre e gli occhi verdi, scintillanti di curiosità, come quelli del padre.

Dopo i convenevoli di presentazione, e rassicurazioni sulle sue condizioni parlarono un poco, Sean chiese ad Elizabeth che ne pensava dello stare con un pilota, lei gli rispose che adesso che sapeva che stava bene era molto più tranquilla, lui insistette e le chiese se adesso ce l’avrebbe fatta ancora a scherzare come poche settimane prima, lei rispose che stando alle statistiche era altamente improbabile che gli capitasse un altro incidente.

A quella frase Mac ed Harm si guardarono, pensando alle statistiche private della famiglia Rabb, lei sospirò e lui ammirò l’intonaco del soffitto, intuendo i pensieri della moglie.

“Elizabeth, tua madre è in marina, giusto?”
Mac aveva notato una somiglianza, che la ragazza confermò, i suoi erano tutti in modo o nell’altro dentro il mondo della Marina, ma era onorata che il generale si ricordasse di sua madre.
“Una ragazza molto in gamba, all’epoca ero un po’ indisponente, e a volte tendevo ad essere un po’ troppo brusca, ma spero di averle dato dei buoni consigli.”
“Brusca tu? Ma quando mai? Quando ti ho conosciuta io eri un maggiore che faceva invidia ad un panzer tedesco.”
“Capitano! Le ricordo che anche lei ha dato sfoggio di uno o due difetti nel corso dei nostri primi incontri, e anche in seguito.”
Elizabeth osservò divertita lo scambio tra i due, guardò Sean che stava dicendo una cosa alla sorella.

“Cosa fai in licenza, non dovresti stare al campo?”
“Non fare il fratello maggiore adesso.”
“Ma lo sono!”

Ashley si voltò verso Elizabeth decisa a cambiare argomento ed inizio a chiederle come aveva conosciuto suo fratello, lei disse che era stato per colpa di suo fratello Roger che lei era andata a prendere un giorno di rientro da una missione, con lui c’era Sean a cui dettero un passaggio, la casa di Sean era vicino all’università che lei frequentava e avevano finito con l’incontrarsi altre volte.

Harm e Mac decisero di lasciare il figlio in compagnia della fidanzata e si portarono dietro una riluttante Ashley che avrebbe subissato di domande la poverina se gliene davano l’occasione.
Ash disse che sarebbe andata da un’amica, loro si diressero a casa, lui sapeva che lei si era trattenuta in ufficio, ma a casa avrebbe fatto i conti con la ninja girl che ben conosceva.

CASA RABB
“Hai avvertito Henry?”
“Sì, più o meno, era fuori, il cellulare non prendeva allora ho avvisato AJ, ci penserà lui a dirglielo.”
“A proposito dell’altro AJ, che intendeva il nostro figlioccio parlando di cose grosse?”

Harm distolse lo sguardo degli occhi indagatori della moglie, ecco il momento tanto temuto era arrivato, pensò a qualcosa che distogliesse la sua attenzione.
“Senti ma quella Elizabeth non sarà la figlia del comandante di quel sottomarino, ricordi, era un periodo che litigavamo sempre e fummo costretti a stare insieme per settimane sotto la calotta artica, il sommergibile era di un modello po’ basso e davo continuamente zuccate, e…”

Si era interrotto perché lei lo stava a guardare con un aria decisamente inferocita e non pareva avesse intenzione di farsi distrarre.
“Ecco bravo cambia argomento! VOGLIO SAPERE COSA NE SAPEVI DI EVENTUALI PROBLEMI! STANOTTE MI AVEVI DETTO DI NON PREOCCUPARMI! E INVECE TU SAPEVI CHE QUALCOSA A BORDO NON ANDAVA! HARM, DIMMI CHE NON HAI MANDATO NOSTRO FIGLIO AD INDAGARE INVECE DI FARLO FARE A CHI DI DOVERE!”

Lei si stupì per prima del modo in cui lo stava aggredendo, si era ripromessa di parlarne con calma, ma il suo tentativo di parlare d’altro l’aveva fatta imbestialire.

Lui scosse il capo, ma non sorrise aveva ben capito che lei non glielo avrebbe perdonato stavolta di essere presa in giro.
“No, Sean non stava indagando per me, io stavo indagando su alcuni disservizi lamentati da altri piloti, ed AJ mi stava aiutando dall’interno della portaerei, non potevo far assegnare nostro figlio da un’altra parte, avrei voluto tu non sai quanto, ma senza un inchiesta ufficiale il mio sarebbe parso strano come atto. Quando stanotte ti ho detto di non preoccuparti era perché sapevo che nostro figlio è in gamba, e non sarebbe servito farti stare in pensiero più di quanto già stai ogni volta che loro sono per mare.”

Fece per abbracciarla, ma lei lo spinse via e si diresse in cucina, si sedette sullo stesso sgabello che aveva occupato la notte precedente, e poggiando i gomiti sul tavolo si prese la testa tra le mani.
“Tu sapevi, come hai potuto mentirmi?
Credevo che tra noi la fiducia fosse totale, invece ogni tanto rispunta fuori l’agente della CIA.”
“Sarah, lo sai se non lavorassimo nello stesso ufficio, sarebbe normale che alcune cose del lavoro non le sapresti.”
“MA NOI LAVORIAMO NELLO STESSO MALEDETTO UFFICIO! E VIVIAMO INSIEME DA MOLTI ANNI ORMAI! CREDEVO CHE DOPO I FATTI DEL PARAGUAY E DI PANAMA NON AVREMMO Più AVUTO MENZOGNE NELLE NOSTRE VITE!”

“Che ne dici di lasciare stare il Paraguay, e anche Panama? Non c’entra con quello che sta succedendo adesso, sei irrazionale tiri in ballo il passato quando il presente ti spaventa.”
“Immagino vorresti che quella fosse una tua esclusiva! Come mai hai coinvolto AJ? Harriett e Bud ovviamente non ne sanno nulla, certo che no.”
“Non lo sanno, è vero, per loro era un normale cambio d’incarico, e una volta chiusa la faccenda lo sarà, dato che AJ mi ha chiesto se può rimanere in servizio nella squadriglia, ha ottime possibilità di diventare CAG col tempo.”
“Chi hai mandato ad indagare adesso?”
“Ho inviato sul posto Dexter e Coats”
“Una buona squadra, l’esperienza di Jen e la tenacia di Ray sono un buon mix per scoprire magagne, solo non capisco perché non hai avviato prima un inchiesta formale, perché hai fatto svolgere indagini prima da AJ?”
“Non volevo che insabbiassero la cosa, e se avviavo un indagine per dei sentito dire non avrei scoperto molto; lo so ho messo a rischio la vita dei piloti, ma sono pilota anch’io Sarah e lo sappiamo che vi sono dei rischi, ma se la cosa veniva insabbiata allora i danni sarebbero andati a farli altrove e magari li avremmo scoperto troppo tardi.”
“Ma era troppo tardi, quattro ragazzi hanno rischiato di morire!”

Harm osservò la faccia tirata della moglie, erano due vecchi coniugi che stavano litigando, proprio come in quel sottomarino, solo che allora non erano sposati…


ANNI PRIMA

Da diversi giorni non facevano che scontrarsi, ogni causa o discussione era motivo di lite, l’ammiraglio li mandò in missione in un sottomarino, nei giorni che seguirono la tensione tra di loro raggiunse il culmine, e quando lei aveva cercato di farlo parlare di loro due e dei loro continui litigi lui aveva preferito cambiare argomento, non che ne ebbe il tempo, picchiò l’ennesima testata e un fischio lacerante irruppe nel sottomarino, in seguito avrebbero scoperto che l’ufficiale medico di bordo aveva causato egli stesso i problemi per poter curare gli ammalati.

Quando era andato per parlargli dopo che, grazie a Bud da terra, aveva scoperto dettagli sulla scheda personale dell’ufficiale c’era mancato un pelo dal diventare la sua ennesima vittima, per l’ennesima volta il legame che scorreva tra loro aveva permesso a Mac di salvarlo, il medico lo aveva colpito e quando si era ripreso era sul lettino dell’infermeria non riusciva a parlare e all’arrivo di lei il medico parlava di un intervento da eseguire immediatamente per salvargli la vita, lui aveva cercato di far capire a Mac che era una menzogna e lei aveva compreso, non subito però, a momenti finiva nei guai pure lei.

Quanto si erano tenuti stretti tra le paratie del sommergibile, quanto tempo avevano perso per i suoi stupidi blocchi prima, e la rabbia di lei dopo!

CASA RABB
Harm ritornò al presente e rispose alla moglie.
“Forse hai ragione, ma solo oggi AJ ha avuto le informazioni che servivano, e purtroppo a causa dell’incidente di Sean.”
“Vuoi dire che senza il suo incidente l’indagine sarebbe ancora segreta.”
“Forse.”
“E non mi avresti detto nulla, nonostante il mio sogno?”

Mac fissò il marito, in quel momento nel suo cuore lo stava supplicando di mentirle, e dirle che le avrebbe confidato ogni cosa, ma la sua testa sapeva che non lo avrebbe fatto. Magari poteva nasconderle dei fatti, ma dirle apertamente una menzogna, per quanto bramata da lei, non era nel carattere del suo capitano.
“No, non ti avrei detto niente, come ti ho già detto prima saresti solo stata in ansia.”
“A volte ti odio, lo sai?”
“Sai che ci sono delle volte in cui anch’io mi detesto?;-)”

Ecco la tempesta era passata, oh certo dell’argomento avrebbero discusso ancora e lei non avrebbe dimenticato, ma la burrasca più forte era alle spalle.

RIFUGIO
AJ stava aspettando il rientro di Henry, non aveva ancora deciso come dirgli dell’accaduto, immaginava che avrebbe voluto correre subito a casa, e doveva fare in modo che non commettesse imprudenze.
Certo che i Rabb lontano dai guai non sapevano proprio stare, questi erano i suoi pensieri mentre ripensava a quello che era accaduto anni prima, quanti incidenti aerei aveva avuto Harm? Poteva avere una casistica tutta personale, poi con la storia di famiglia, il nonno abbattuto sulla Manica durante la seconda guerra mondiale, il padre disperso in Vietnam e poi prigioniero in Russia, il fratello che ogni tanto veniva abbattuto…forse volare non faceva per loro, ma erano testardi.

Sfogliò le cose scritte fino a quel momento, non era sicuro le avrebbe fate leggere ad Henry, aveva seguito l’istinto e dato che avevano parlato di Lindsey aveva deciso di raccontare ogni cosa che riguardava quell’uomo, così da levarsi il pensiero.
Era stato uno dei suoi primi incontri allo JAG, se il capitano Rabb aveva la nomea di piantagrane, del capitano Lindsey si poteva tranquillamente dire che era un politicante, senza timore di offendere certi papaveri di Washington.
Nei mesi che precedettero il suo passaggio da capo dello JAG del Pacifico, a ufficiale in comando dell’intero Judge and Advocate General, Lindsey e la Krennick avevano svolto l’incarico protempore dato che l’ammiraglio Brovo era stato silurato dopo l’errore commesso durante una delicata indagine.

In quell’occasione il biondo e occhialuto capitano dette sfoggio di rara abilità, spedendo un giovane e, credeva, inesperto tenente ad indagare sulla morte di una giovane donna.
L’ammiraglio Brovo gli aveva confidato di aver chiesto a Lindsey di andarci lui e che egli aveva accampato velocemente una scusa, al che gli aveva detto che aveva l’istinto di sopravivenza di un politicante, e non sapeva quanto aveva visto giusto, viste le amicizie in alto loco che per un pelo non erano costate anche a lui delle dimissioni anticipate, vedi alla voce secnav 1998-2001.

Tempo dopo voleva fermare un indagine dei tenenti Rabb ed Austin, c’erano state pressioni dall’alto perché non si coinvolgesse l’ambasciata Thailandese, ma Rabb aveva insistito, di far fare loro un indagine informale, così da trovare una pistola fumante.
Da voci di corridoio sapeva che il capitano non aveva capito che era un modo di dire e gli aveva obbiettato che i tenenti erano stati accoltellati e non gli avevano sparato, Rabb gli aveva spiegato trattenendosi a stento dal ridergli in faccia; dopo la Austin aveva detto a Rabb che pensava che in Marina fosse diverso, riferendosi alle beghe di tipo politico-diplomatiche, e la risposta del tenente era stata lapidaria.

“Ma è diverso, finché non si entra in una stanza al Pentagono!”

Il caso era a rischio di incidente diplomatico, alla fine avevano scoperto che la moglie dell’ambasciatore uccideva giovani tenenti perché le ricordavano il padre che aveva abbandonato lei e la madre anni prima; per un pelo non aveva ammazzato pure Rabb, Mag intervenne provvidenzialmente, quello che AJ non capiva era come mai la moglie dell’ambasciatore giorni prima fosse a casa di Rabb, ma con lui spesso era meglio non fare domande, specie se non si aveva voglia di sentire la risposta.

Poco dopo il tenete ricevette la promozione a capitano di corvetta, cosa che dovette magari anche dare fastidio a Lindsey, forse inizio da lì a non volerlo tra i piedi, ma faceva male i suoi conti, lui era il CO e riteneva molto più utile un buon ufficiale magari un poco sopra le righe,
che un leccapiedi.
Una cosa non aveva mai capito, come mai Mag avesse chiesto il trasferimento, si era domandato spesso se il capitano avesse in qualche modo a che fare con la questione, ma non erano affari suoi, e non aveva fatto domande; poi invecchiando, invece, sarebbe diventato meno rigido e formale e si sarebbe intromesso anche troppo.

1995 APPARTAMENTO RABB
TOC TOC
Una mano apparve dalla porta che si apriva, e una biondina molto allegra avrebbe fatto un suo rinomato test di controllo delle funzioni audio visive del collega.
“Quante sono queste?”
“Due”
“Allora sta meglio.”
Entrò nella stanza, Harm stava sfogliando un libro semisdraiato sul divano, si sedette di fronte a lui e gli chiese di nuovo come si sentiva.
“Sto meglio, ma quello è un test di cui la Marina attesta la validità?”
“La Marina forse no, ma era il mio sistema per controllare se a mia zia era passata la sbronza.”
“Ne deduco che beveva.”
“Se lei chiama bere scolarsi boccali da birra colmi di bourbon, io lo chiamo tentativo di suicidio!”
Harm scosse la testa, e socchiuse il libro che teneva in mano, osservò la collega, la sera prima era arrivata appena in tempo, era stato molto stupido a mangiare il cioccolatino, credeva che la moglie dell’ambasciatore avesse messo la droga nello champagne e non aveva riflettuto che poteva essere altrove, quando aveva iniziato ad avere la vista annebbiata lei gli aveva detto serafica: “non era nello champagne” e aveva cercato di accoltellarlo, lui si era difeso meglio che aveva potuto, ma stava per soccombere all’effetto della droga, se Mag non fosse arrivata…

“Come mai eri rimasto un po’ diffidente anche dopo l’episodio del cecchino?”
“Mag l’unica ragione per cui non piloto sono i miei occhi, ci vedo benissimo, ma non mi fiderei ad atterrare su una portaerei in una notte senza luna; ci sono un sacco di cose che non vediamo, e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi.”

Lei guardò il collega, la frase le pareva un poco insensata, ma forse era ancora scombussolato dalla sera precedente; oh lei lo aveva visto eccome, decise che per quel giorno era sufficiente, lo salutò e uscì; quando la porta fu chiusa Harm riaprì il libro, non stava leggendo stava guardando la foto della ragazza vietnamita che la moglie dell’ambasciatore tanto gli ricordava, ma lei era morta laggiù in Vietnam e gli era rimasto solo quello scatto che ritraeva una ragazza sorridente, e quel sorriso era per lui che le stava facendo la foto.
Certo AJ questo dialogo non poteva scriverlo nella sua biografia, le voci di corridoio non potevano giungere a tanto.
(Tanto per cambiare: licenza della narratrice, ok?)


RIFUGIO

Lindsey aveva usato tattiche poco piacevoli per il capitano anche in altre occasioni, poi era stato assegnato ad altri incarichi, e solo di tanto in tanto capitava che incrociasse lui e i suoi uomini, un’occasione fu il processo all’allora maggiore Mackenzie accusata dell’omicidio del marito.
Lui era l’accusa, e iniziò allora a rivelarsi per la serpe che era, poi lo smacco finale glielo diede AJ stesso non aiutandolo ad ottenere la promozione, cosa che, gli eventi futuri lo avrebbero ampiamente dimostrato, non meritava in alcun modo.

In una sola occasione Lindsey aveva apertamente preso le difese dei suoi uomini, almeno così lui diceva, avevano aperto un inchiesta per i numerosi di imprevisti che il capitano incontrava nello svolgere le indagini, cose del tipo doversi paracadutare in Bosnia per portare a casa un pilota, nel farlo aveva trovato le prove che gli servivano per scagionare il suo assistito, l’allora CAG Boone, di certo i metodi del capitano ai piani alti non andavano molto a genio, ma sembrava che Lindsey quella volta avesse risposto piccato che non spettava a loro decidere come dovessero svolgersi le indagini.
Forse quella fu l’unica volta in cui rischiò la sua carriera, ma doveva aver deciso che non era il caso di ripetere l’esperienza, e da allora si limitò ad assecondare i politicanti.

AJ decise che aveva perso fin troppo tempo a scrivere di Lindsey, era ora di passare ad altro.
Mise in una cartellina i fogli che non intendeva far leggere ad Henry, e tenne fuori quelli che aveva appena iniziato a riempire.
Quando AJ era da pochi mesi al comando, Rabb era stato preso prigioniero, il rischio di un incidente diplomatico con la Cina era dietro l’angolo…

PRIGIONE CINESE 1996
Harm era seduto in una cella, poco prima era stato torchiato da una donna intenzionata a sapere delle cose sulle intenzioni degli USA nel caso che la Cina avesse attaccato Taiwan, ma a parte il fatto che lui non aveva intenzione di collaborare, c’era da dire che lui non sapeva proprio nulla della questione, doveva ancora sentire le persone che lo avrebbero messo al corrente.

Adesso stava cercando di rimettere ordine nei suoi pensieri quando ecco un rumore, dei colpi, non erano casuali era alfabeto morse, ecco c’era qualcuno che cercava di mettersi in contatto, ma poteva essere un trucco.
Non doveva farsi condizionare, ma quando poco dopo lo riportarono in cella dopo un altro interrogatorio, ecco che la persona che lui aveva sentito prima era nella cella sotto la sua, iniziarono a parlarsi, cercando di non farsi scoprire; una buona dose di diffidenza da parte di entrambi, ma dopo un poco il prigioniero misterioso chiese ad Harm il nome, e quando egli rispose Harmon Rabb da sotto gli giunse una risata strana, come di un folle.
“Sei l’ennesimo trucco del colonnello Han, ormai lo conosco, digli che ti è andata male.”
“Quale trucco? Non capisco.”
“Ah no! Be è semplice, sono io Harmon Rabb!”

Ad Harm prese un colpo, si diceva che non poteva essere e che quello era davvero un trucco, ma quando fece delle domande a cui solo suo padre poteva rispondere, si convinse che era lui.

Invece i suoi aguzzini avevano studiato bene il piano, lo avevano fatto parlare all’inizio con un tizio qualunque che si era fermato dopo avere detto che era Harmon Rabb, e la sua mente annebbiata delle droghe usate per fargli confessare chissà quali segreti aveva fatto il resto.

Intanto fuori una Allison Krennick molto decisa aveva messo alle strette il l’uomo dell’ambasciata che stava temporeggiando senza darsi da fare per sbloccare la situazione, e aiutata da Mag Austin avevano convinto un funzionario a dare loro una mano, in parole povere ungere un po’ di cardini cigolanti per facilitare un eventuale evasione di Rabb.
Le due donne si ritrovarono a parlare in modo decisamente poco attinente all’etichetta di quello che rappresentava per loro quel mascalzone che temevano di perdere.
Quando l’evasione ebbe luogo, Harm avrebbe voluto far evadere anche il padre, ma il colonnello che lo stava aiutando nella fuga, glielo impedì dicendogli che non c’erano altri prigionieri; Harm lo chiamò colonnello Han, al che l’uomo gli disse che lui non era il colonnello Han, che era morto dieci anni prima, ed era il precedente capo della prigione.

Ad Harm non rimase che voltarsi verso il suo carcere, guardando al di la della recinzione metallica si domandava come era possibile che un allucinazione avesse usato quel nome, forse di quel prigioniero si erano dimenticati tutti, o forse il fantasma di suo padre lo aveva tenuto all’erta impedendogli di lasciarsi andare.

RIFUGIO
AJ non avrebbe mai saputo fino in fondo che era successo in quella prigione, ma sapeva che era stata la molla per cui poi negli anni a venire Rabb non retrocedesse nella speranza di ritrovare suo padre.
Chissà cosa era solo sogno e cosa reale, le torture che l’uomo sa infliggere ai suoi simili travalicano ogni immaginazione, erano passati anni prima che Harm avesse notizie certe su ciò che era capitato al padre, e il ricordo di quella che forse altro non era che una proiezione della sua mente lo avrebbe tormentato a lungo.
Henry aprì la porta, era quasi buio fuori, salutò l’ammiraglio e si sedette stanco sulla branda.
Sentendo l’ammiraglio schiarirsi la voce il giovane lo guardò con maggiore attenzione, c’era qualcosa che non andava.

“Sean sta bene, ma ha dovuto eiettarsi, adesso è ricoverato a Bethesda, tuo padre ha chiamato poco fa, ha voluto attendere di avere buone notizie; ho anche parlato con Sean, era spiritoso come sempre, ha detto che non poteva scendere a far comizio con dei pesci perché non aveva letto abbastanza libri sulla biologia marina.”

“Scenderei immediatamente, ma se lei gli ha parlato e sta bene, posso andare giù domani all’alba; inutile rischiare di farmi male scendendo di notte.”

AJ tirò un sospiro di sollievo, il ragazzo era saggio, temeva di dover lottare per convincerlo a rimanere finché non avesse fatto giorno, invece era bastato inventarsi di avere parlato col fratello per tranquillizzarlo, la frase l’aveva detta Harm riferendosi ad un commento del figlio.

Si ricordò di una cosa letta una volta: se dovete dire una menzogna non inventatela di sana pianta, ma modificate solo alcuni fatti.

Henry preparò una cena frugale, e dopo si mise a leggere quello che l’ammiraglio aveva scritto.
AJ aveva raccontato ancora qualcosa del matrimonio con Marcella, di come il suo ritorno dal Vietnam fosse stato duro con lei, lui era profondamente cambiato pareva che il giovane che aveva sposato pochi anni prima fosse sparito; il loro matrimonio non aveva retto e lei aveva chiesto il divorzio, così sua figlia Francesca era cresciuta con il cognome del suo secondo marito, Paretti, ma quella era una cosa a cui preferiva non pensare troppo, tanto, si diceva, i miei nipoti portano il cognome del marito di Francesca, quindi il mio di nome si sarebbe perso in ogni caso.
Certo che mai avrebbe pensato di avere quel genero.

ANNI ADDIETRO FULLS CHURCH
AJ stava conferendo la seconda stella all’ammiraglio Rabb, che presto sarebbe stato il nuovo CO allo JAG, quando nel giardino del quartier generale entrò un ufficiale, erano passati anni da quando era sotto il suo comando, ma non era cambiato molto, fece i suoi complimenti a Rabb per la sua meritata promozione e si congratulò con l’ammiraglio per la sua arringa vittoriosa.
Venne invitato al ricevimento di quella sera a casa Rabb, e passò quasi tutta la sera fuori a parlare con sua figlia Francesca che si era da poco trasferita negli USA.
Sapendo quanto i portici avessero uno strano effetto su molte persone che conosceva, avrebbe dovuto preoccuparsi, invece non badò troppo alla cosa; il giorno dopo sua figlia passò dall’ufficio per avvertirlo che non poteva accompagnarlo al ricevimento dell’ambasciatore Italiano, perché sarebbe uscita con un caro amico, la vide fermarsi da Mac a parlare qualche minuto, non seppe mai cosa si dissero, ma alcuni mesi dopo accompagnava sua figlia all’altare a diventare la signora Tiner.
Lui avrebbe avuto da ridire, non su Jason, che riteneva un ottima persona, ma sulla fretta, e sulla differenza d’età, Tiner era un po’ più giovane, Mac molto diplomaticamente gli fece notare che sua figlia era ormai una donna, e con la testa sulle spalle, non sarebbe stato saggio da parte sua farne una questione anagrafica, a meno che non volesse che la figlia non gli rivolgesse più la parola.
Preso in contropiede le chiese come mai lei ed Harm ci avessero messo tanto dopo quella sera al portico a casa sua, la festa del fidanzamento di lei per intenderci, mentre per Jason e Francesca era stato tutto così chiaro.

“Semplicemente loro erano già pronti o più maturi, o meglio ancora più svegli di me ed Harm, specie di me.”
“Perché dici così? Mi sembra che ci siano stati malintesi da ambo le parti.”
“Harm non parla molto di quello che prova, io lo volevo diverso, senza capire che a modo suo già mi amava da allora, direi che avevo delle spesse fette di salame sugli occhi, e il capitano avrebbe avuto bisogno di un buon logopedista che gli sciogliesse un poco la lingua, ma temo che sia stata anche un po’ colpa di sua madre.”

E spiegò ad AJ di come avesse cresciuto il figlio nel mito del padre, dandogli solo da grande ed in un momento di rabbia la cassetta in cui lui diceva alla moglie di rifarsi una vita.

“Se lo immagina, era cresciuto credendo fosse vivo senza averne le prove e quando le aveva trovate e voleva andare a cercarlo in Russia lei aveva cercato di fermarlo tirando fuori una cosa che forse sarebbe stata più utile quando era un ragazzino, da adulto ormai non lo avrebbe più smosso dalle sue decisioni.”
“Certo non fu una mossa azzeccata con il carattere di Harm.”

Per l’ennesima volta il colonnello lo aveva stupito, non pensava che desse delle colpe alla madre di lui, anche se doveva riconoscere che l’atteggiamento della donna quando si era trattato di aiutare Sergeji ad ottenere la cittadinanza non gli era piaciuto per niente, sapeva che poteva aiutare l’eventuale riconoscimento di paternità postuma mettendo a disposizione delle lettere che le aveva mandato il marito, ma aveva rifiutato, ritenendo il ragazzo colpevole di chissà cosa.
Sapeva che il suo atteggiamento aveva ferito Harm, che si era allontanato da lei, i contatti si erano fatti sporadici e solo la presenza dei nipotini aveva, in seguito, appianato le cose.

RIFUGIO
Henry aveva letto di come al suo arrivo allo JAG l’ammiraglio temesse di trovare un clima di ostracismo nei confronti si un superiore che arrivava dalla gavetta e dai combattimenti, e non dagli ambienti politicizzati tipici per la procura militare, invece aveva ben presto trovato in Rabb e Austin, prima, e Mackenzie dopo, degli ottimi elementi su cui fare pieno affidamento.
Intanto si era fatto tardi ed andarono a riposare, il giorno dopo Henry sarebbe sceso, mentre l’ammiraglio aveva in mente di fermarsi lassù ancora un paio di settimane.

Non avrebbe finito in quei pochi giorni di scrivere tutto ciò che desiderava, ma non aveva ancora preso impegni con un eventuale editore per cui non aveva fretta.

OSPEDALE DI BETHESDA
Elizabeth era rimasta fino all’ultimo minuto consentito insieme a Sean, lui le aveva raccontato come il pensiero di lei l’avesse aiutato a resistere, lei gli aveva detto quanto si fosse spaventata, nonostante le frasi dette prima in presenza dei suoi, quando suo fratello l’aveva avvisata che lo stavano portando all’ospedale.

“Sapeva che i tuoi ignoravano chi fossi, quindi non mi avrebbero contattato, ha atteso di sapere che eri fuori pericolo e mi ha chiamato, l’ho fulminato via etere per la decisione; poi visto lo stato in cui sono arrivata in ospedale, ho capito che aveva fatto bene, sarei stata sola, i miei sono in Colorado, Roger è a S.Diego, e non avrei avuto nessuno a confortarmi.”
“Perché in che stato eri al tuo arrivo qui?”
“Chiedilo a tua madre, stavo sbranando un infermiera che non voleva dirmi dov’era la tua stanza…”
“E lei è arrivata a salvare la malcapitata dalla tua ira, mi sarebbe piaciuto vedere la scena.”
“Adesso è meglio che vada, prima che sia io a dovere affrontare l’ira di un’altra infermiera, è la terza volta che appare sulla porta guardando l’orologio, l’orario di visita è finito. Torno domani mattina, tu comportati bene.”

Persero ancora qualche minuto per un bacio appassionato, la donna che prima era passata guardando l’ora li osservò per qualche istante, le facevano tenerezza e non aveva intenzione di cacciare via la ragazza, ma ad una certa ora i parenti dovevano andarsene, a meno che il paziente non avesse bisogno di assistenza, ma non era il caso del bel pilota.

Quando Elizabeth uscì dalla stanza, salutò la donna che era tornata al banco dell’accettazione, che rispose con un cenno del capo; le spiaceva avere messo fretta alla ragazza, che però non pareva contrariata.
Infatti lei era al settimo cielo, lui stava bene, e null’altro importava.
Chiamò i suoi, grazie al fuso orario in Colorado non era molto tardi, li rassicurò circa le condizioni di Sean, sua madre le chiese come stava lei.
“Sto bene mamma, dopo avergli parlato; sai il generale si ricordava di te, ha detto che le ricordavo una giovane recluta, avevi lasciato il segno durante il corso ufficiali.”
“Si ricordava di me? Spero in modo positivo.”
“Sì, anzi ha detto che forse era lei ad essere stata un po’ troppo brusca.”
“Doveva esserlo, c’era in gioco il futuro delle donne in marina, e visto che io non le sembravo adatta per incarichi sul campo, mi consigliò di cercare dentro di me, le vere ragioni per cui volevo servire il paese, e che non si serve solo col fucile in mano, trovai la mia strada grazie alle sua parole, forse senza avrei perso tempo prezioso per dimostrare qualcosa che era oltre le mie possibilità.”
“Tu sei in gamba!”
“Non mi disse che non lo ero, ma solo che forse fare parte di un unità di combattimento non faceva per me, so che altre non presero così bene la sua schiettezza, ma per me fu una conferma di ciò che stavo elaborando per conto mio, solo che avevo paura che ammetterlo sarebbe stata una sconfitta, lei mi fece capire che non era così.”
“Capisco, una bruschezza salutare allora; sai lei e l’ammiraglio sono molto simpatici, temevo sarei stata a disagio ed invece.”
“Sono felice di saperlo, anche se non avevo dubbi al proposito, anche tu sei in gamba, ricordalo sempre.”
“Me lo ricorderò, quando contate di tornare a Washington tu e papà?”
“Bè, se tu stai bene, contavamo di fermarci ancora una settimana.”
“Sì, sto bene, godetevi la vacanza. A presto.”
Nel frattempo si era infilata in macchina, prima di partire attese di finire la conversazione con la madre, e non si era accorta che dietro di lei un’altra auto aspettava che partisse per mettersi nel parcheggio, l’altro guidatore le scambio le luci e lei si sbrigò a ingranare la marcia e partire.
Osservò che stranamente per l’ora non c’erano molti parcheggi liberi, poi vide il cartellone di uno spettacolo teatrale di quella sera, a poche centinaia di metri dall’ospedale e capì che la sua vita sociale a causa degli esami era davvero ridotta al lumicino.

Ancora un anno e poi…e poi probabilmente avrò ancora meno tempo libero…

Le luci posteriori della sua auto si confusero presto insieme alle altre nel traffico serale di Washington, dall’alto le vie della città parevano fiumi di luci, c’era una canzone che diceva che nelle le strade ci si perde, in cielo e in mare no*, forse era vero.

* la canzone è Naso di falco, Baglioni, dall’album OLTRE

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